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Visualizzazione dei post da gennaio, 2020

Paragrafi 82 e 83 del libro III di Tucidide

82. Conciossiaché nel tempo appresso Grecia tutta fu, a così dire, in sollevazione, regnando dovunque le sette fra i caporali del popolo ed i fautori dell'oligarchia, stante che quelli gli Ateniesi, questi i Lacedemoni volevano chiamare. E poiché in tempo di pace non avrebbero avuta onesta cagione né bramosia di invitarli a sé, così, rotta ormai la guerra, ben di leggeri in ambe le parti occorrevano alla mente dei novatori adescamenti valevoli a procacciarsi alleanza per nuocere alla fazione avversa, e con ciò stesso avanzare ad un'ora il proprio potere. Duranti le sedizioni piombarono su le città molte e gravi calamità, che di continuo accadono e sempre accadranno sino a che sia la medesima la natura degli uomini; tutto ché più violente o più miti e diverse nella specie, secondo ché cadranno le particolari mutazioni dei fortuiti eventi. Imperocché quando è pace e gli affari prosperano, le repubbliche ed i privati hanno più sano giudizio, perché non s'imbattono in imperio

Arte Romanica

UN NUOVO IMPERO Carlo (re dal 768 all'800) costruì un potente Stato in Europa, che si estendeva dalla Germania al Centro-Nord Italia. A Roma, la notte di Natale dell’800 fu incoronato imperatore del Sacro Romano Impero da Papa Leone III , cosa che voleva confermare che il suo potere discendeva direttamente da Dio. In realtà, questo impero era molto più piccolo del vero Impero Romano e al centro, anziché Roma e il Mediterraneo (" Mare Nostrum "), aveva l’Europa continentale (in quanto non aveva sbocchi importanti sul mare). Carlo Magno favorì lo sviluppo della cultura e delle scuole nelle cattedrali e nei monasteri. Dopo Carlo Magno e la dinastia dei Carolingi, ci fu la dinastia degli Ottoni la quale, al potere fino al 1024, si prefissò di creare un impero simile in dimensioni e potenza al vero Impero Romano. Capostipite degli Ottoni fu Ottone I il Grande , re di Germania e Imperatore del Sacro Romano Impero. SAO KO KELLE TERRE (SO CHE QUELLE TERRE) Dopo l’

La σφρηγις di Teognide

Κύρνε, σοφιζομένωι μὲν ἐμοὶ σφρηγὶς ἐπικείσθω — — τοῖσδ’ ἔπεσιν, λήσει δ’ οὔποτε κλεπτόμενα ,                               20 οὐδέ τις ἀλλάξει κάκιον τοὐσθλοῦ παρεόντος · — — ὧδε δὲ πᾶς τις ἐρεῖ · ‘Θεύγνιδός ἐστιν ἔπη τοῦ Μεγαρέως· πάντας δὲ κατ’ ἀνθρώπους ὀνομαστός.’ TRADUZIONE O Cirno, da me che sono saggio sia apposto un sigillo a questi versi,  che non siano giammai rubati di nascosto,  e nessuno (li) cambierà in peggio, essendoci (in essi) il buono;  e ciascuno dirà: “Sono versi di Teognide  di Mègara: celebre fra tutti gli uomini.” La sphraghìs  σφρηγὶς  è il "sigillo" che il poeta dichiara di aver apposto ai propri carmi come garanzia di autenticità e per evitare plagi da parte di altri poeti o imitatori. Secondo alcuni critici sarebbe la formula “questi versi sono  di Teognide di Megara”, più volte ripetuta in molti suoi componimenti; secondo altri sarebbe il nome di Cirno al vocativo "O Cirno" ricorrente spesso in Teognide; secondo altri

Il giuramento dei Greci a Platea Licurgo versione greco

Versione di Greco Οὐ ποιήσομαι περὶ πλειονος τὸ ζῆν τῆς ἐλευθερίας. Οὐδὲ ἐγκαταλείψω τοὺς ἡγεμόνας, οὔτε ζῶντας , οὔτε ἀποθανόντας . ἀλλὰ τοὺς ἐν τῇ μάχῃ τελευτήσαντας τῶν συμμάχων ἁπάντας θάψω . καὶ κρατήσας τῷ πολέμῳ τοὺς βάρβαρους,τῶν μὲν μαχεσαμένων ὑπὲρ τῆς Ἑλλάδος πόλεων οὐδεμίαν ἀνάστατον ποιήσω . τὰς δὲ τὰ τοῦ βάρβαρου προελομένας ἅπασας δεκατεύσω . καὶ τῶν ἱερῶν ἐμπρησθέντων καὶ καταβληθέντων ὑπὸ τῶν βάρβαρων οὐδὲν ἀνοικοδομήσω παντάπασιν. ἀλλὰ ὑπόμνημα τοῖς ἐπιγιγνομένοις ἐάσω καταλείπεσθαι τῆς τῶν βάρβαρων ἀσεβείας. Lycurgus, Licurgo, contro Leocrate In  verde  i participi, in  giallo  gli altri tempi verbali,   sottolineati  i genitivi assoluti Traduzione in Italiano Non terrò in maggior conto il vivere della (rispetto alla) libertà, né abbandonerò i comandanti né da vivi né da morti, ma seppellirò tutti quanti quelli degli (fra gli) alleati che morirono nella battaglia.  E avendo sconfitto gli stranieri in guerra, non distruggerò ( lett . farò/rend

A l'aura il crin ch'a l'auro il pregio ha tolto

ANALISI DELLA POESIA 1) Nel primo verso del componimento Marino utilizza i termini « l’aura » e « l’auro » per alludere al  luogo comune secondo cui la donna amata ha capelli biondi quasi come l'oro, richiamandosi al sonetto in cui Petrarca afferma che la sua donna ( Laura ) ha i « capei d’oro a l’aura sparsi ». 2) Nella seconda quartina, Marino descrive in modo artificioso e ricco di " meraviglia " ciò che la donna provoca nel momento in cui scioglie i suoi boccoli d’oro, i quali cadendo sulle spalle  e sul bel seno della donna danno luogo a un incredibile gioco di luci.  3) Nel verso 9 " Amor vid’io, che fra i lucenti rami " vi sono due figure retoriche: una è la personificazione dell'Amore; l'altra è una metafora in quanto i capelli della donna vengono trasformati da Marino nei rami di una selva. La personificazione dell'amore serve a Marino per esplicare (spiegare) il suo concetto di amore, sentimento forte, essenziale, profondo e in