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Visualizzazione dei post da gennaio, 2021

L'ARTE GRECA NELL'ETÀ ARCAICA (VII-VI SECOLO a.C.)

Dal Periodo arcaico in poi i greci ripresero i commerci con l'Asia Minore e il Vicino Oriente e le poleis divennero più autonome, aumentarono sia la popolazione (in greco demos) sia il benessere generale, di conseguenza aumentò anche la richiesta di beni di consumo (prodotti agricoli e manufatti artigianali). Si capì allora che se la popolazione si accresceva eccessivamente, sarebbero stati compromessi gli equilibri politici, economici e sociali interni. Pertanto, molte poleis scelsero di non ingrandirsi più e andarono a fondare nuove città, le cosiddette colonie, simili per autonomia, organizzazione e cultura alle poleis.  Anche le colonie necessitavano di un'adeguata chora circostante ma, essendo la Grecia prevalentemente montuosa, non poteva offrire a tutte le poleis le stesse opportunità. E così, già a partire dall'VIII (8) secolo e soprattutto nel VII (7), i Greci decisero di colonizzare:  - le coste mediterranee:   Sicilia   Spagna   Francia   Soprattutto il Sud Itali

ANFORE FUNERARIE

Nell'VIII secolo a.C. si sviluppa il gusto geometrico e la decorazione su tutta la superficie dei vasi, forse perché gli artigiani del tempo avevano paura di lasciare un centimetro di ceramica non dipinta (un fenomeno che poi prenderà il nome di Horror vacui = paura del vuoto). Si  crea così una straordinaria unità tra forma e ornamento, come se l'una fosse conseguenza dell'altro e viceversa.  In questo periodo, a differenza dei Micenei, i defunti vengono cremati e le loro ceneri raccolte in urne fittili che vengono poi interrate a circa un metro di profondità e coperte da un lastrone di pietra appoggiato su una tavoletta, sul cui si colloca una grossa anfora (per le defunte) o un cratere (per i defunti), entrambi riccamente decorati, (alti 1,5 m) parzialmente interrati, lasciando sporgere dal suolo soltanto le bocche attraverso cui parenti e amici versavano le libagioni.  Presso la Dipylon (o Doppia Porta, la più importante porta a doppia entrata dell'antica Atene) fu

Per riflettere sul giorno della memoria

 “Mamma, forse qualcuno si è sbagliato a portarci qui. Diglielo a quel signore. Digli che questa è l’ora della merenda e io ho fame. E poi qui fa freddo e non ho neppure la mia bambola”. Nessuno sbaglio. Le pareti di legno di quella baracca e quell’odore di chiuso e di morte sarebbero state a lungo la loro casa. La casa di quella madre e della sua bambina. La casa di tante madri e dei loro figli. Lo comprese nel giro di qualche giorno. Lo comprese e crebbe in un istante. Così, si nascose nell’enorme cappotto grigio lasciato a terra da chi era già altrove – in un posto caldo e bellissimo, pensò la bimba – e fissando la luce filtrata dagli assi scomposti di quel tugurio, esclamò: “Mamma, ho capito una cosa. Il signore col fucile non si è sbagliato. Vuole punirmi perché spesso faccio i capricci e non mangio le verdure. E per colpa mia, anche tu sei in punizione. Ora gli chiedo scusa, gli dico che da oggi mangerò sempre le verdure e farò la brava. Lo so che non ci riporterà a casa ma forse

Testo completo della madre di Cecilia

 ALESSANDRO MANZONI-I Promessi Sposi Cap. XXXIV La madre di Cecilia Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo,

Primo Levi: vita e opere

Primo Levi: la vita Primo Levi nacque a Torino nel 1919 in una famiglia di origine ebraica. Dal padre, ingegnere elettrotecnico, ereditò la passione per la scienza e la letteratura, entrambe fondamentali per la sua vita. Nel 1937 si iscrisse all'Università di Torino, al corso di laurea in Chimica, ma a causa delle leggi razziali promulgate in Italia nel novembre 1938 ebbe numerose difficoltà per la sua tesi, in particolare nel trovare un relatore e nello scegliere di cosa discutere, dal momento che agli studenti ebrei era vietato l'accesso ai laboratori). Così, riuscì a laurearsi solo nel 1941 con una tesi compilativa, sulla quale dovette anche precisare di essere “di razza ebraica”. Col proclama di Badoglio, Primo Levi decise di unirsi ai partigiani in Valle d’Aosta, ma nel dicembre dello stesso anno fu arrestato e preferì dichiararsi ebreo, anziché partigiano. Fu così trasferito prima nel campo di Fossoli e poi ad Auschwitz, nel campo-satellite di Buna-Monowitz, dove rima