Passa ai contenuti principali

ANFORE FUNERARIE

Nell'VIII secolo a.C. si sviluppa il gusto geometrico e la decorazione su tutta la superficie dei vasi, forse perché gli artigiani del tempo avevano paura di lasciare un centimetro di ceramica non dipinta (un fenomeno che poi prenderà il nome di Horror vacui = paura del vuoto). Si  crea così una straordinaria unità tra forma e ornamento, come se l'una fosse conseguenza dell'altro e viceversa. 

In questo periodo, a differenza dei Micenei, i defunti vengono cremati e le loro ceneri raccolte in urne fittili che vengono poi interrate a circa un metro di profondità e coperte da un lastrone di pietra appoggiato su una tavoletta, sul cui si colloca una grossa anfora (per le defunte) o un cratere (per i defunti), entrambi riccamente decorati, (alti 1,5 m) parzialmente interrati, lasciando sporgere dal suolo soltanto le bocche attraverso cui parenti e amici versavano le libagioni. 

Presso la Dipylon (o Doppia Porta, la più importante porta a doppia entrata dell'antica Atene) fu trovata l’“Anfora funeraria detta del lamento funebre” (circa 760-750 a.C.) la cui funzione era segnalare la presenza della tomba. Si tratta di un'anfora del tipo a collo distinto (o staccato), cioè nella quale una lunga imboccatura si collega al corpo in modo netto, senza raccordi curvi, come se non fosse stata fatta durante la lavorazione al tornio, ma applicata successivamente. 

La decorazione, in vernice nera lucida su fondo color rosso-terracotta, è fatta da 65 fasce sovrapposte con motivi geometrici (greche, meandri e altre figure geometriche), lungo tutta la circonferenza del vaso e con uno spessore diverso a seconda della posizione:  

o più spesse in corrispondenza del collo e delle anse 

o più sottili in prossimità della bocca, delle spalle e del piede. 

L'anfora, arrivataci quasi intatta, serviva per indicare la sepoltura di una ricca signora, come si intuisce dal registro, più alto degli altri, raffigurante la scena di una lamentazione funebre molto schematica. Al centro si nota un alto Catafalco (greco katà, sotto + latino fala, torre di legno = struttura lignea per l'esposizione dei defunti) su cui giace il cadavere di una donna, rappresentata simbolicamente con una lunga veste. Intorno vi sono 14 uomini stanti, che: 

o si portano le mani alla testa in piena di disperazione 

o sono disposte simmetricamente: 

o 7 a sinistra (gli ultimi due sono armati di spada) 

o 7 a destra (6 adulti e un bambino, forse il figlio della defunta, intorno al Capezzale (latino capitium, estremità = lungo e basso cuscino posto in cima al letto per rialzare il guanciale. Qui significa parte superiore del letto, vicino alla testata).  

Sotto il catafalco ci sono 4 persone che piangono:  

o 2 femmine, inginocchiate (a sinistra) 

o 2 maschi, seduti (a destra). 

Ciò è dovuto al fatto che all’epoca si tendeva a schiacciare tutti i personaggi su un unico piano, senza distinguere fra davanti e dietro, per cui queste 4 figure sono disposte ai lati della defunta. 

Nonostante questi elementi figurativi, comunque, non c’è contraddizione con l'assoluta astrazione dell'arte geometrica di questo periodo. I corpi dei personaggi, infatti, sono realizzati in modo così schematico assemblando figure geometriche elementari:  

o triangoli per i busti 

o cerchi per le teste 

o trapezi per le braccia levate. 

Tra le fasce geometriche del collo del vaso c’è una fila di cervi che pascolano. Questo motivo, probabilmente d’ispirazione orientale, è allo stesso modo semplificato: gli animali sono infatti tutti uguali ed equidistanti, tanto da apparire più come elementi decorativi astratti e come ripetizione di forme in successione, piuttosto che come quello che davvero dovrebbero rappresentare.  

Commenti

Post popolari in questo blog

MARZIALE, Per la morte della piccola Eròtion

TRADUZIONE CONTRASTIVA: MARZIALE, Per la morte della piccola Eròtion Epigramma V, 34 Hanc tibi, Fronto pater, genetrix Flaccilla, puellam oscula commendo deliciasque meas, parvola ne nigras horrescat Erotion umbras oraque Tartarei prodigiosa canis. Impletura fuit sextae modo frigora brumae, vixisset totidem ni minus illa dies. Inter tam veteres ludat lasciva patronos et nomen blaeso garriat ore meum. Mollia non rigidus caespes tegat ossa nec illi, terra, gravis fueris : non fuit illa tibi. TRADUZIONI A CONFRONTO TRADUZIONE 1 A te, babbo Frontone, a te, mamma Flaccilla, io pienamente affido questa povera bimba, oggetto dei miei baci e delle gioie mie. Cara piccina! Ch'ella non provi terrore delle Ombre, né delle orrende fauci di Cerbero infernale. Avrebbe ora compiuto il suo sesto gelido inverno, s'ella fosse vissuta altri sei giorni ancora. Oh! Fra i suoi buoni vecchi che ella giochi e ripeta i capricci, e il mio nome balbetti c

I complici di Catilina, Sallustio, 14 I seguaci di Catilina

I complici di Catilina  TESTO LATINO  - S allustio, De coniuratione Catilinae, 14. In tanta tamque corrupta civitate Catilina, id quod factu facillimum erat , omnium flagitiorum atque facinorum circum se tamquam stipatorum catervas habebat . Nam quicumque impudicus adulter ganeo manu ventre pene bona patria laceraverat , quique alienum aes grande conflaverat , quo flagitium aut facinus redimeret , praeterea omnes undique parricidae sacrilegi convicti iudiciis aut pro factis iudicium timentes , ad hoc quos manus atque lingua periurio aut sanguine civili alebat , postremo omnes quos flagitium egestas conscius animus exagitabat , ii Catilinae proximi familiaresque erant . Quod si quis etiam a culpa vacuus in amicitiam eius inciderat , cotidiano usu atque illecebris facile par similisque ceteris efficiebatur . Sed maxime adulescentium familiaritates appetebat : eorum animi molles etiam et [aetate] fluxi dolis haud difficulter capiebantur . Nam ut cuiusque studium ex aetate flagrabat

Un comandante esorta i suoi soldati

VERSIONE DI LATINO Nondum certa Romanis victoria erat ; alia iis supererat moles. Namque multitudo Gallorum, sensum omnem damni exsuperans , integros milites  adversus victorem hostem ciebat ; steterunt que suppresso impetu Romani , et quia iterum fessis subeunda dimicatio erat et quod consul, dum inter primores incautus agitat , laevo umero materi prope traiecto , cesserat parumper ex acie. Iamque omissa cunctando victoria erat , cum consul, vulnere alligato , revectus ad prima signa, "Quid statis , milites?" inquit .«Non cum Latino Sabinoque hoste res est , quem victum armis socium ex hoste fecistis ; in beluas strinximus ferrum; hauriendus aut dandus est sanguis. Propulistis a castris, supina valle praecipites egistis , stratis corporibus hostium superstatis ; complete eadem strage campos qua montes replevistis . Nolite exspectare dum stantes vos fugiant ; inferenda sunt signa et vadendum in hostem». His adhortationibus iterum coorti , milites Romani pellunt loco primos