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I TUMULTI POPOLARI IN MANZONI


I TUMULTI POPOLARI
Col termine “tumulto popolare” si intende la rivolta (ribellione) di un gruppo più o meno numeroso di persone, che protesta per ottenere determinati cambiamenti e provvedimenti di qualche legge o problema.
Il tumulto popolare descritto da Manzoni nei capitoli XIXII e XIII dei Promessi  Sposi è il cosiddetto “tumulto di S. Martino” o anche “rivolta del pane”, avvenuto nei giorni 11 e 12 novembre 1628 a Milano. Manzoni immagina che Renzo, arrivato a Milano, rimanga colpito dagli eventi che vede accadere davanti ai suoi occhi e, pur non prendendo realmente parte a nessuna violenza, commenta le azioni della folla con buon senso e critica i crimini compiuti dai ribelli.
Negli anni 1627-1628 la città di Milano ed i territori circostanti erano afflitti da una profonda carestia, dovuta a cause naturali (la scarsità del raccolto dell’estate precedente), ma aggravata dalla guerra (per la successione al ducato di Mantova) e dal malgoverno. I contadini abbandonavano le campagne e chiedevano l'elemosina in città, a causa dell’aumento delle tasse a cui erano sottoposti per mantenere l'esercito. Il governo cercava di ottenere sempre più soldi, aumentando il prezzo del pane e finendò così con l'affamare il popolo. Molti popolani accusano i proprietari terrieri ed i fornai di nascondere la farina per poter alzare il prezzo del pane.
La mattina dell'11 novembre (il giorno di San Martino), all'alba, la folla si ribella e riempie le strade di Milano, aggredendo e derubando i ragazzi che lavorano per i fornai, mentre portano il pane alle case dei signori. Il gran cancelliere Ferrer  cerca di calmare il popolo, imponendo un limite al prezzo (calmiere) del pane ma, così facendo, fa arrabbiare i fornai, costretti a vendere il pane sottocosto, perdendo molti soldi; quindi, questa legge viene annullata per accontentare i fornai, ma ciò fa arrabbiare il popolo che, furibondo, dà inizio alla rivolta. Tra coloro che si ribellano non vi sono solo i poveri e gli umili, ma anche uomini ricchi, superbi, meschini, criminali e malvagi, che furbescamente strumentalizzano la rabbia dei popolani per cercare di ottenere dei vantaggi. Dopo aver mangiato un pezzo di pane, Renzo inconsciamente si ritrova al centro del tumulto e nota una gran folla composta da uomini, donne e bambini, che si dirige verso il Duomo per saccheggiare i forni della città ed, in particolare, il cosiddetto forno delle Grucce (cap. XII). I popolani assediano la bottega ed i fornai si chiudono all'interno del forno, pronti a combattere; poi arriva il capitano di giustizia con i soldati armati (detti alabardieri, in quanto portano l'alabarda), entra nel forno e cerca di calmare la folla, facendogli delle false promesse, ma poi si ritira e si nasconde, dopo aver ricevuto una sassata in pieno viso. I fornai, allora, cominciano a lanciare sassi sui ribelli, uccidendone alcuni e ferendone altri. I rivoltosi riescono a rompere la porta del forno, entrano e distruggono l'intera bottega, sprecando pane e farina. Alcuni rivoltosi portano via attrezzi e arredi vari dal forno e li gettano in un gran falò, acceso nella piazza davanti al Duomo. Anche altri forni a Milano vengono attaccati, ma non totalmente distrutti. Poi, spinto dalla curiosità, Renzo segue il popolo che si sposta verso il Cordusio, dove saccheggia un'altra bottega ma, trovando il forno chiuso e ben difeso dagli occupanti, decide di andare direttamente a casa del vicario di Provvisione (cap. XIII) per tentare di ucciderlo, in quanto ritenuto responsabile della povertà, in cui vive il popolo, perché secondo tutti è complice di coloro che nascondono il grano (il funzionario in realtà è del tutto innocente). Renzo si trova in mezzo al tumulto e si oppone all’idea di uccidere il vicario, ma viene accusato di essere una spia del vicario e rischia di essere linciato. Alcuni  tumultuosi cercano di entrare nella casa con una scala, ma improvvisamente arriva il gran cancelliere Antonio Ferrer e riesce a calmare i popolani: fingendo di voler portare in prigione il vicario, entra in casa e porta via il vicario (recandolo in salvo presso il Castello Sforzesco). Renzo, avendo aiutato Ferrer a salvare il vicario, spostando la folla, comincia a parlare in piazza, chiedendo giustizia per il popolo e per i suoi problemi personali, attirando così su di sé l'attenzione di un poliziotto (che si finge un popolano) e portando così al suo mandato di arresto (cosa che costringerà Renzo a fuggire da Milano).
Gli avvenimenti del giorno successivo, il 12 novembre, vengono raccontati dal mercante all'osteria di Gorgonzola (in cui Renzo si ferma durante la sua fuga verso Bergamo nel
cap. XVI): nelle strade di Milano si erano nuovamente radunati molti rivoltosi, che si erano diretti verso la casa del vicario di Provvisione ma, trovando la strada sbarrata da carri e soldati, erano tornati indietro e avevano assaltato il forno del Cordusio, dove stavano distribuendo il pane, e lo avevano distrutto, bruciando tutto ciò che avevano trovato in un grande falò nella piazza del Duomo. Alcuni ribelli avevano addirittura proposto di dar fuoco all’intera bottega, ma si erano fermati perché avevano saputo che il prezzo del pane era stato nuovamente ribassato. L'uomo spiega inoltre che alcuni capi della sommossa erano stati arrestati e che sarebbero stati presto impiccati (si trattava di "quattro disgraziati", come raccontato nel cap. XXVIII) e che un altro capo si sarebbe dato alla fuga, senza  lasciare alcuna traccia di sé (in realtà questo fantomatico “capo” sarebbe proprio Renzo, che ascolta tutto il discorso, senza far capire che il soggetto di quel racconto è proprio lui). 
Il ribasso del prezzo del pane, però, farà esaurire rapidamente tutte le scorte di grano, per cui in tutte le strade di Milano e fra i contadini aumenterà gravosamente la carestia e si diffonderà ulteriormente la miseria  e ciò faciliterà il contagio della peste, all’arrivo dei lanzichenecchi.

IL PUNTO DI VISTA DI MANZONI SULLA FOLLA IN TUMULTO
Manzoni si dimostra fermamente contrario alle rivolte, poiché ritiene che esse siano soltanto manifestazioni violente che, anziché aiutare il popolo, finiscono solo col danneggiarlo ulteriormente. Manzoni descrive la sommossa di Milano come negativa e inutile: la rivolta viene vista da Renzo, un semplice contadino delle campagne di Lecco, al quale Milano appare come il "paese della cuccagna", in cui  il pane e la farina sono buttati per terra. Renzo afferma che la distruzione dei forni non è una "bella cosa", perché il pane non si può produrre in altri posti e critica,
 in particolar modo, lo spreco della farina, del tutto contrario all'etica cristiana di Manzoni). E soprattutto Manzoni critica il popolo quando cerca di uccidere il vicario di Provvisione, accusato a torto di essere responsabile della povertà e salvato da Ferrer (che invece è il vero colpevole della rivolta con la sua decisione di imporre i prezzi fissi del pane).
Secondo Manzoni il popolo è incapace di decidere autonomamente, poiché compie atti di violenza a causa della fame e del bisogno, per cui è necessario che la politica faccia riforme che provvedano ai veri bisogni degli uomini più umili, ma che sappia anche guidare ed educare il popolo. Infatti, Manzoni condanna il governo milanese, che con le sue leggi inutili ha impoverito Milano e scatenato la rivolta, e poi ha cercato di fermare il popolo con le condanne a morte e con altre leggi incapaci di fermare la povertà.
Secondo Manzoni, la folla è uno strumento che ha una grande forza, ma non non è con la forza che si ottiene giustizia: le conseguenze della ribellione sono negative pero il popolo stesso, poiché essende un così gran numero di persone, non è possibile controllare tutti e mantenere un ordine, per cui non ci sarà nessuno che farà da portavoce dei problemi della cittadinanza, che sia capace di farsi ascoltare dai politici e di prendere decisioni che siano vantaggiose per tutti.
Manzoni spiega la propria idea politica: da un lato racconta la vera Storia, riportando gli scritti economici e giuridici originali del Seicento; dall’altro descrive le scene dei tumulti, ispirandosi a fatti reali ed utilizzando un linguaggio popolare e dialettale.
In particolare, Manzoni giudica negativamente la folla: secondo lui, la natura umana è malvagia (HOMO HOMINI LUPUS = l'uomo è lupo per l'altro uomo, come affermato dal commediografo latino Plauto nella commedia “Asinaria”) e pertanto non può essere controllata solo dalla ragione e dalla religione; Manzoni critica anche il governo perché crede nella libertà del mercato e non tollera gli interventi dello Stato sull’economia; infine, la sua fede cattolica  non ammette il coinvolgimento diretto del popolo nella gestione della politica, ma impone che debba essere la Chiesa a fare da portavoce delle necessità del popolo.
La folla è descritta come se fosse un vero e proprio personaggio, costituito da una massa di individui che tentano di formare un gruppo compatto, ma ciò è impossibile perché si tratta di persone completamente diverse (fanciulli, donne, uomini, furbi, scellerati, vigliacchi), unite solo dalla rabbia comune causata dalla fame, che si fanno forza del loro numero e della loro appartenenza alla folla.

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