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ITALIANO: La Ginestra di Leopardi e il concetto della SOCIAL CATENA


La lirica 

La ginestra o il fiore del deserto, è l’ultimo grande canto di Leopardi e assume un valore testamentario. Fu composta nel 1836 presso Villa Ferrigni, l’attuale Villa della Ginestra, situata lungo il cosiddetto “Miglio d’oro” di Torre del Greco, ma fu pubblicata postuma (1845) nell'edizione napoletana dei Canti curata da Antonio Ranieri. Lo spunto venne forse dalla poesia Rosa del desierto del poeta spagnolo N. Alvarez de Cienfuegos.

Il componimento è di singolare ampiezza nell'intera raccolta (317 versi), costruito sinfonicamente con sapiente alternanza di toni, dal tono grandioso e tragico del vulcano minacciante distruzione e delle distese di lava infeconda, all'aspra polemica ideologica, agli squarci cosmici che proiettato la nullità della terra e dell’uomo nell'immensità dell’universo, alla visione dell’infinito svolgersi dei secoli della storia umana su cui incombe immutabile la minaccia della natura, fino alle note gentili dedicate al fiore del deserto, in cui vi sono i significati simbolici della pietà verso le sofferenze umane, la dignità che dovrebbe essere propria dell’uomo davanti alla forza invincibile della natura che lo schiaccia. Leopardi cerca di costruire un’idea di progresso basato sul suo pessimismo: la consapevolezza lucida della reale condizione umana, indicando la natura come la vera nemica, può indurre gli uomini a unirsi in social catena per combattere la sua minaccia e far cessare le sopraffazioni e le ingiustizie della società, dando origine a un più onesto e retto conversar cittadino, a giustizia e pietade, al vero amore tra gli uomini.
Leopardi, osservando una ginestra sulle pendici del Vesuvio, riflette sulla condizione umana e sulla Natura. Lo scabro paesaggio della campagna vesuviana, che parla solo di morte e di rovine, con i campi ricoperti di cenere funerea e lava impietrata, provoca nel poeta la meditazione circa la potenza e l’ostilità della natura, la miseria e la desolata condizione umana nel mondo. L’uomo non è altro che una piccola, fragile e insignificante creatura nell'immenso Universo; sull'uomo incombe un Natura-Vesuvio che perennemente minaccia e uccide, un’onnipotente Natura matrigna impegnata solo nella perenne metamorfosi dell’assurda e meccanica vita dell’universo. Angoscia e deserto pietrificato sono il mondo e la vita dell’uomo, al cui grido di dolore nessuna voce risponde dagli spazi sterminati di un tutto incomprensibile. Da quest’amara verità Leopardi fa un appello: invita all'umiltà e alla fraterna solidarietà tra gli uomini contro la natura maligna e per alleviare un po’, nel reciproco amore, il dramma dell’esistenza, a superamento del più stretto individualismo verso l’ipotesi di una società nuova. La solidarietà che Leopardi ipotizza tra gli esseri umani è di natura meramente negativa: gli odi e le inimicizie umani sono inutili e sciocchi, perché mai rivolti a chi veramente è colpevole dei mali che affliggono l’umanità, ossia la natura.  La stessa idea si trovava già in chiusura del Dialogo di Plotino e di Porfirio (Operette morali), in cui l’ipotesi di umana solidarietà si affacciava quale ultima forma di saggezza, una volta riconosciuta l’immutabile miseria universale. Il nuovo, luminoso mito della ginestra “contenta dei deserti” (v. 7), “di tristi / lochi e dal mondo abbandonati amante / e d’afflitte fortune ognor compagna” (vv. 14-15), felice di adornare “le campagne dispogliate” con le sue “selve odorate” (v. 298-299).
Al secol superbo e sciocco, intento a celebrare dell’umana gente / le magnifiche sorti e progressive, Leopardi oppone il proprio convincimento materialistico, la fiducia illuministica nella ragione, il rifiuto di ogni mito in nome del vero, la propria fede in un atteggiamento intellettuale che pone nella lucida e spietata conoscenza razionale della realtà la vera grandezza e dignità dell’uomo, la sua nobiltà spirituale.
La ginestra è l’unico fiore che cresce alle falde del Vesuvio, destinato a morire, ma forte di fronte all'imperversare della Natura, e che col suo profumo rallegra il deserto ove è nata.
L’umile fiore incarna, dall'inizio alla fine del canto:
-         La coscienza dell’avara sorte di sofferenza riservata all'uomo;
-         Il coraggio di chi affronta il suo destino, al di là di ogni stolta paura o di ogni sciocca superbia;
-         Il dono di una pietà non interessata e non bugiarda che si apre all'amore e alla solidarietà degli uomini e illumina e rende tollerabile la vita.
Intorno ad essa si condensa la vasta materia del canto che riesce a fondere:
-         Il registro satirico e quello lirico
-         L’attacco agli uomini che hanno preferito le tenebre alla luce (la citazione dal Vangelo di Giovanni con cui si apre la lirica) e la poesia del fiore che nasce sopra il vulcano: la verità, il coraggio, la pietà che levano la loro voce sopra il deserto delle miserie umane.
Questo canto possiede una commozione unica, capace di illuminare il pessimismo leopardiano, senza rinnegare nulla dei suoi presupposti, ponendoli ora nella luce nuova dell’esemplarità eroica e della donazione gratuita.
Metro: Canzone libera, composta di 7 strofe libere di lunghezza diversa, composte da endecasillabi e settenari, con presenza rara di rime (del tipo rime al mezzo).
 Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι E gli uomini vollero
µᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς piuttosto le tenebre che la luce[1]. (Giovanni, III, 19) connessa ai vv. 80-83

1.            Qui[2] su l’arida schiena
2.            del formidabil[3] monte
3.            sterminator Vesevo[4],
4.            la qual null’altro allegra arbor né fiore,
5.            tuoi cespi solitari intorno spargi,
6.            odorata ginestra,
7.            contenta dei deserti. Anco ti vidi
8.            de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
9.            che cingon la cittade
10.          la qual fu donna de’ mortali un tempo,
11.          e del perduto impero
12.          par che col grave e taciturno aspetto
13.          faccian fede e ricordo al passeggero[5].
14.          Or ti riveggo in questo suol, di tristi
15.          lochi e dal mondo abbandonati amante
16.          e d’afflitte fortune ognor compagna[6].
17.          Questi[7] campi cosparsi
18.          di ceneri infeconde, e ricoperti
19.          dell’impietrata lava,
20.          che sotto i passi al peregrin risona;
21.          dove s’annida e si contorce al sole
22.          la serpe, e dove al noto
23.          cavernoso covil torna il coniglio[8];
24.          fur[9] liete[10] ville e cólti,
25.          e biondeggiar di spiche, e[11] risonaro
26.          di muggito d’armenti[12];
27.          fur giardini e palagi,
28.          agli ozi de’ potenti
29.          gradito ospizio; e fur città famose,
30.          che coi torrenti suoi l’altero monte
31.          dall’ignea bocca fulminando oppresse
32.          con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
33.          una ruina involve,
34.          ove tu siedi, o fior gentile, e quasi
35.          I danni altrui commiserando, al cielo
36.          di dolcissimo odor mandi un profumo[13],
37.          che il deserto consola. A queste piagge
38.          venga colui che d’esaltar con lode
39.          il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
40.          è il gener nostro in cura
41.          all’amante[14] natura. E la possanza
42.          qui con giusta misura
43.          anco estimar potrá dell’uman seme,
44.          cui la dura nutrice, ov’ei men teme,
45.          con lieve moto in un momento annulla
46.          in parte, e può con moti
47.          poco men lievi ancor subitamente
48.          annichilare in tutto.
49.          Dipinte in queste rive
50.          son dell’umana gente
51.          le magnifiche sorti e progressive[15].
52.          Qui mira e qui ti specchia,
53.          secol superbo e sciocco[16],
54.          che il calle insino allora
55.          dal risorto pensier segnato innanti
56.          abbandonasti, e vòlti addietro i passi,
57.          del ritornar ti vanti,
58.          e procedere il chiami.
59.          Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti,
60.          di cui lor sorte rea padre ti fece,
61.          vanno adulando, ancora
62.          ch’a ludibrio talora
63.          t’abbian fra sé. Non io
64.          con tal vergogna scenderò sotterra;
65.          ma il disprezzo piuttosto che si serra
66.          di te nel petto mio,
67.          mostrato avrò quanto si possa aperto;
68.          bench’io sappia che obblio
69.          preme[17] chi troppo all’età propria increbbe.
70.          Di questo mal, che teco
71.          mi fia comune, assai finor mi rido.
72.          Libertà vai sognando, e servo a un tempo
73.          vuoi di novo il pensiero,
74.          sol per cui risorgemmo
75.          della barbarie in parte, e per cui solo
76.          si cresce in civiltà, che sola in meglio
77.          guida i pubblici fati.
78.          Così ti spiacque il vero
79.          dell’aspra sorte e del depresso loco
80.          che natura ci die’. Per queste il tergo
81.          vigliaccamente rivolgesti al lume[18]
82.          che il fe’ palese; e, fuggitivo, appelli
83.          vil chi lui segue, e solo
84.          magnanimo colui
85.          che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
86.          fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
87.          Uom di povero stato e membra inferme
88.          che sia dell’alma generoso ed alto,
89.          non chiama sé né stima
90.          ricco d’or né gagliardo,
91.          e di splendida vita o di valente
92.          persona infra la gente
93.          non fa risibil mostra;
94.          ma sé di forza e di tesor mendíco
95.          lascia parer senza vergogna, e noma
96.          parlando, apertamente, e di sue cose
97.          fa stima al vero uguale[19].
98.          Magnanimo animale
99.          non credo io già, ma stolto,
100.        quel che nato a perir, nutrito in pene,
101.        dice: - A goder son fatto, -
102.        e di fetido orgoglio
103.        empie le carte, eccelsi fati e nove
104.        felicità, quali il ciel tutto ignora,
105.        non pur quest’orbe, promettendo in terra
106.        a popoli che un’onda
107.        di mar commosso, un fiato
108.        d’aura maligna, un sotterraneo crollo
109.        distrugge sí, ch'avanza
110.        a gran pena di lor la rimembranza.
111.        Nobil natura è quella
112.        ch’a sollevar s’ardisce
113.        gli occhi mortali incontra
114.        al comun fato, e che con franca lingua,
115.        nulla al ver detraendo,
116.        confessa il mal che ci fu dato in sorte,
117.        e il basso stato e frale;
118.        quella che grande e forte
119.        mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire
120.        fraterne, ancor piú gravi
121.        d’ogni altro danno, accresce
122.        alle miserie sue, l’uomo incolpando
123.        del suo dolor, ma dà la colpa a quella
124.        che veramente è rea, che de’ mortali
125.        madre è di parto e di voler matrigna[20].
126.        Costei chiama inimica; e incontro a questa
127.        congiunta esser pensando,
128.        siccom’è il vero, ed ordinata in pria
129.        l’umana compagnia,
130.        tutti fra sé confederati estima
131.        gli uomini, e tutti abbraccia
132.        con vero amor[21], porgendo
133.        valida e pronta ed aspettando aita
134.        negli alterni perigli e nelle angosce
135.        della guerra comune[22]. Ed alle offese
136.        dell’uomo armar la destra, e laccio porre
137.        al vicino ed inciampo,
138.        stolto crede così, qual fora in campo
139.        cinto d’oste contraria, in sul più vivo
140.        incalzar degli assalti,
141.        gl’inimici obbliando, acerbe gare
142.        imprender con gli amici,
143.        e sparger fuga e fulminar col brando
144.        infra i propri guerrieri[23].
145.        Così fatti pensieri
146.        quando fien, come fur[24], palesi al volgo;
147.        e quell’orror che primo
148.        contra l’empia natura
149.        strinse i mortali in social catena[25],
150.        fia ricondotto in parte
151.        da verace saper, l’onesto e il retto
152.        conversar cittadino,
153.        e giustizia e pietade altra radice
154.        avranno allor che non superbe fole[26],
155.        ove fondata probità del volgo
156.        così star suole in piede
157.        quale star può quel c’ha in error la sede[27].
158.        Sovente in queste rive,
159.        che, desolate, a bruno
160.        veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
161.        seggo la notte; e su la mesta landa,
162.        in purissimo azzurro
163.        veggo dall’alto fiammeggiar le stelle,
164.        cui di lontan fa specchio
165.        il mare, e tutto di scintille in giro
166.        per lo vòto seren brillare il mondo.
167.        E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
168.        ch’a lor sembrano un punto,
169.        e sono immense, in guisa
170.        che un punto a petto a lor son terra e mare
171.        veracemente; a cui
172.        l’uomo non pur, ma questo
173.        globo, ove l’uomo è nulla,
174.        sconosciuto è del tutto; e quando miro
175.        quegli ancor più senz’alcun fin remoti
176.        nodi quasi di stelle,
177.        ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo
178.        e non la terra sol, ma tutte in uno,
179.        del numero infinite e della mole,
180.        con l’aureo sole insiem, le nostre stelle
181.        o sono ignote, o così paion come
182.        essi alla terra, un punto
183.        di luce nebulosa; al pensier mio
184.        che sembri allora, o prole
185.        dell’uomo? E rimembrando
186.        il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
187.        il suol ch’io premo[28]; e poi dall’altra parte,
188.        che te signora e fine
189.        credi tu data al Tutto; e quante volte
190.        favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
191.        granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
192.        per tua cagion, dell’universe cose
193.        scender gli autori, e conversar sovente
194.        co’ tuoi piacevolmente; e che, i derisi
195.        sogni rinnovellando, ai saggi insulta
196.        fin la presente età, che in conoscenza
197.        ed in civil costume
198.        sembra tutte avanzar; qual moto allora,
199.        mortal prole infelice, o qual pensiero
200.        verso te finalmente il cor m’assale?
201.        Non so se il riso o la pietà prevale.
202.        Come d’arbor cadendo un picciol pomo,
203.        cui là nel tardo autunno
204.        maturità senz’altra forza atterra,
205.        d’un popol di formiche i dolci alberghi
206.        cavati in molle gleba
207.        con gran lavoro, e l’opre,
208.        e le ricchezze ch’adunate a prova
209.        con lungo affaticar l’assidua gente
210.        avea provvidamente al tempo estivo,
211.        schiaccia, diserta e copre
212.        in un punto; così d’alto piombando,
213.        dall’utero tonante[29]
214.        scagliata al ciel profondo,
215.        di ceneri e di pomici e di sassi
216.        notte e ruina, infusa
217.        di bollenti ruscelli,
218.        o pel montano fianco
219.        furiosa tra l’erba
220.        di liquefatti massi
221.        e di metalli e d’infocata arena
222.        scendendo immensa piena,
223.        le cittadi che il mar là su l’estremo
224.        lido aspergea, confuse
225.        e infranse e ricoperse[30]
226.        in pochi istanti[31]: onde su quelle or pasce
227.        la capra, e città nove
228.        sorgon dall’altra banda, a cui sgabello
229.        son le sepolte, e le prostrate mura
230.        l’arduo monte al suo piè quasi calpesta.
231.        Non ha natura al seme
232.        dell’uom più stima o cura
233.        ch’alla formica: e se più rara in quello
234.        che nell’altra è la strage,
235.        non avvien ciò d’altronde
236.        fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde.
237.        Ben mille ed ottocento
238.        anni varcar poi che spariro, oppressi
239.        dall’ignea forza, i popolati seggi,
240.        e il villanello intento
241.        ai vigneti, che a stento in questi campi
242.        nutre la morta zolla e incenerita,
243.        ancor leva lo sguardo
244.        sospettoso alla vetta
245.        fatal, che nulla mai fatta più mite
246.        ancor siede tremenda, ancor minaccia
247.        a lui strage ed ai figli ed agli averi
248.        lor poverelli. E spesso
249.        il meschino in sul tetto
250.        dell’ostel villereccio, alla vagante
251.        aura giacendo tutta notte insonne,
252.        e balzando più volte, esplora il corso
253.        del temuto bollor, che si riversa
254.        dall’inesausto grembo
255.        sull’arenoso dorso, a cui riluce
256.        di Capri la marina
257.        e di Napoli il porto e Mergellina.
258.        E se appressar lo vede, o se nel cupo
259.        del domestico pozzo ode mai l’acqua
260.        fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
261.        desta la moglie in fretta, e via, con quanto
262.        di lor cose rapir posson, fuggendo,
263.        vede lontan l’usato
264.        suo nido, e il picciol campo,
265.        che gli fu dalla fame unico schermo,
266.        preda al flutto rovente,
267.        che crepitando[32] giunge, e inesorato
268.        durabilmente sovra quei si spiega.
269.        Torna al celeste raggio
270.        dopo l’antica obblivion, l’estinta
271.        Pompei, come sepolto
272.        scheletro[33], cui di terra
273.        avarizia o pietà rende all’aperto;
274.        e dal deserto foro
275.        diritto infra le file
276.        de’ mozzi colonnati il peregrino
277.        lunge contempla il bipartito giogo
278.        e la cresta fumante,
279.        ch’alla sparsa ruina ancor minaccia.
280.        E nell’orror della secreta notte
281.        per li vacui teatri,
282.        per li templi deformi e per le rotte
283.        case, ove i parti il pipistrello asconde,
284.        come sinistra face
285.        che per voti palagi atra s’aggiri,
286.        corre il baglior della funerea lava,
287.        che di lontan per l’ombre
288.        rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
289.        Cosí, dell’uomo ignara e dell’etadi
290.        ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno
291.        dopo gli avi i nepoti,
292.        sta natura ognor verde, anzi procede
293.        per sì lungo cammino
294.        che sembra star. Caggiono i regni intanto,
295.        passan genti e linguaggi: ella nol vede:
296.        e l’uom d’eternità s’arroga il vanto[34].
297.        E tu, lenta ginestra,
298.        che di selve odorate
299.        queste campagne dispogliate adorni,
300.        anche tu presto alla crudel possanza
301.        soccomberai del sotterraneo foco,
302.        che ritornando al loco
303.        già noto, stenderà l’avaro lembo
304.        su tue molli foreste. E piegherai
305.        sotto il fascio mortal non renitente
306.        il tuo capo innocente[35]:
307.        ma non piegato insino allora indarno
308.        codardamente supplicando innanzi
309.        al futuro oppressor; ma non eretto
310.        con forsennato orgoglio inver le stelle,
311.        né sul deserto, dove
312.        e la sede e i natali
313.        non per voler ma per fortuna avesti;
314.        ma più saggia, ma tanto
315.        meno inferma dell’uom, quanto le frali
316.        tue stirpi non credesti
317.        o dal fato o da te fatte immortali.
1.            Qui sulle brulle pendici
2.            dello spaventoso vulcano
3.            Vesuvio distruttore,
4.            che nessun altro arbusto o fiore rallegra,
5.            spargi i tuoi rami solitari,
6.            o profumata ginestra,
7.            felice dei deserti. Io ti vidi
8.            abbellire con i tuoi steli anche le solitarie contrade
9.            che circondano Roma
10.          che un tempo fu dominatrice dei mortali,
11.          e del perduto impero (mondo)
12.          e sembra che col loro aspetto cupo
13.          testimonino e ricordino a chi passa.
14.          Ti rivedo ora in questo suolo, amante di
15.          luoghi tristi e abbandonati dal mondo
16.          compagna di sorti sventurate.
17.          Questi campi, sparsi
18.          di ceneri sterili, e ricoperti
19.          di lava indurita,
20.          che risuona sotto i passi del viandante;
21.          dove il serpente si annida e si contorce
22.          sotto il sole, e dove il coniglio torna
23.          all'abituale tana tra le caverne;
24.          vi furono città ricche e campi coltivati,
25.          biondeggiare di spighe e risuonare
26.          di muggiti delle mandrie;
27.          vi furono giardini e case,
28.          un gradito rifugio
29.          per gli ozi dei potenti; e vi furono città famose
30.          che il vulcano indomabile con i suoi torrenti (di lava)
31.          dalla sua bocca di fuoco distrusse,
32.          insieme ai suoi abitanti. Ora intorno
33.          una sola rovina ricopre tutto,
34.          dove tu dimore, o fiore gentile, e quasi
35.          commiserando le altrui miserie, mandi al cielo
36.          un profumo assai dolce,
37.          che allieta il deserto. A questi luoghi
38.          venga colui che è solito lodare in maniera esaltata
39.          la condizione umana, e veda quanto
40.          la natura amorevole[36] si cura
41.          del genere umano. E
42.          qui potrà con cognizione
43.          stimare la potenza del genere umano,
44.          che la natura crudele, quando l’uomo meno se l’aspetta,
45.          con un moto impercettibile annulla in un solo momento
46.          in parte, e può con moti
47.          un po’ meno lievi all'improvviso
48.          distruggere tutto.
49.          Sono dipinte in questi luoghi
50.          le “sorti magnifiche e progressive
51.          delle stirpi umane.
52.          Guarda qui e qui specchiati,
53.          o secolo superbo e sciocco,
54.          che hai abbandonato la via segnata dinnanzi a te da allora
55.          dal pensiero rinascimentale
56.          e materialistico, e tornato indietro sui tuoi passi,
57.          ti vanti del procedere all'indietro,
58.          lo chiami progresso.
59.          Tutti gli uomini d’ingegno,
60.          di cui la loro sorte malvagia ti ha fatto padre,
61.          vanno applaudendo le tue stoltezze infantili, benché
62.          talvolta, tra di loro
63.          si prendono gioco di te. Io non
64.          andrò sotto terra con tale vergogna;
65.          ma piuttosto il disprezzo avrò (prima) mostrato
66.          nei tuoi confronti che ho rinchiuso nel cuore,
67.          il più apertamente possibile;
68.          benché io sappia che l’oblio
69.          ricopre chi troppo spiacque al proprio tempo.
70.          Di questo male, che con te
71.          condivido, fin d’ora non mi importa nulla.
72.          Vai sognando la libertà, e allo stesso tempo
73.          vuoi di nuovo servo il pensiero,
74.          per cui, solo, risorgemmo
75.          dalla barbarie e per cui solo
76.          si cresce in civiltà, che sola[37]
77.          guida il destino comune al meglio.
78.          Tanto ti dispiacque la verità
79.          relativa alla sorte amara e al mondo infelice
80.          che la natura ci ha dato. Per queste (ragioni),
81.          da vigliacco, hai voltato le spalle alla luce
82.          che ci ha mostrato queste cose; e, mentre fuggi, chiami
83.          vile chi segue quel lume, e
84.          magnanimo soltanto chi
85.          illudendo gli altri o se stesso, astuto o folle,
86.          esalta la condizione umana  sino alle stelle.
87.          Un uomo di umili condizioni e salute cagionevole,
88.          che sia d’animo nobile ed elevato,
89.          non si proclama né si reputa
90.          ricco di averi o di vigore fisico,
91.          e non fa ridicola mostra
92.          tra la gente
93.          di vita agiata o di persona vigorosa;
94.          ma si mostra povero di forza e di ricchezza,
95.          senza vergogna e tale si dichiara
96.          parlando apertamente, e
97.          fa stima delle sue cose rispondente alla verità.
98.          Non credo che sia un essere magnanimo,
99.          ma uno sciocco
100.        colui che, nato per morire, nutrito di pene,
101.        afferma: “Sono stato fatto per essere felice”
102.        e con il suo nauseante orgoglio
103.        riempie fogli su fogli, promettendo in terra,
104.        ai popoli meravigliosi destini e sconosciute
105.        felicità che il cielo ignora
106.        che un 
107.        maremoto,  una
108.        pestilenza, un terremoto
109.        può distruggere con tanta violenza
110.        da non lasciarne che un vago ricordo.
111.        Nobile natura è quella
112.        che ha il coraggio di sollevare
113.        gli occhi mortali contro
114.        il destino comune, e che apertamente,
115.        senza nulla togliere alla verità,
116.        confessa il male che ci è stato dato in sorte,
117.        e la nostra condizione miserevole e fragile;
118.        quella (natura) che mostra sé
119.        grande e forte nel soffrire, e non
120.        aggiunge alle sue sciagure né gli odi
121.        né le ire fraterne, che sono ancora più gravi
122.        di ogni altro danno, incolpando l’uomo
123.        del suo dolore, ma dà la colpa a quella
124.        che è davvero colpevole, e che
125.        è madre dei mortali per il parto e matrigna per volontà.
126.        Chiama nemica costei; e contro di lei
127.        pensando di essere unita,
128.        come realmente è, e ordinata sin dall'origine
129.        la società umana,
130.        considera tutti gli uomini alleati tra loro
131.        e tutti abbraccia
132.        col vero amore, offrendo
133.        aiuto valido e rapido ed aspettando(lo)
134.        nelle alterne difficoltà e nelle sofferenze
135.        della guerra comune. E
136.        armare la propria mano per le offese dell’uomo, e porre
137.        insidie ed ostacoli al vicino,
138.        crede sia cosa stolta, così come nel campo di battaglia
139.        circondato dai nemici, nel momento più feroce
140.        infuriare dell’assalto,
141.        dimenticando i nemici, intraprendere
142.        con i compagni aspre gare
143.        e metterli in fuga e fare stragi a colpi di spada
144.        tra i propri guerrieri.
145.        Quando considerazioni di questo tipo
146.        saranno, come lo sono state in passato, chiare al popolo;
147.        e quando quel terrore che per primo
148.        strinse gli uomini in una catena di solidarietà
149.        contro la natura malvagia,
150.        sarà ripristinato in parte
151.        da una vera sapienza, l’onestà e la rettitudine
152.        del consorzio civile,
153.        allora e la giustizia e la pietà avranno un’altra radice
154.        che non le vane e superbe fantasie,
155.        su cui è fondata la mentalità del popolo
156.        sta in piedi
157.        come può starci ciò che poggia sull'errore.
158.        Spesso siedo di notte in questi luoghi,
159.        che, deserti,
160.        la lava indurita  ricopre di bruno, e sembra muoversi;
161.        e sulla landa tristissima,
162.        in un cielo pulitissimo
163.        vedo scintillare le stelle, alle quali,
164.        da lontano, il mare fa da specchio,
165.        e tutto il mondo brilla di scintille
166.        per l’universo sereno.
167.        E fissando quelle luci,
168.        che agli occhi sembrano un puntino,
169.        e (invece) sono immense, così che
170.        terra e mare sono in realtà un punto in confronto a loro;
171.        e per queste stelle
172.        non solo l’uomo, ma questa stessa
173.        Terra, dove l’uomo è nulla,
174.        è completamente sconosciuto; e quando contemplo
175.        quelle costellazioni di stelle
176.        lontanissime e senza fine,
177.        che ci sembrano come una nebbia, alle quali
178.        non l’uomo e non la terra soltanto, ma tutte insieme
179.        le nostre stelle, infinite di numero e di mole,
180.        insieme con il sole dorato,
181.        o sono ignote o appaiono come
182.        loro stesse sulla Terra, un punto
183.        di luce nebbiosa; al mio pensiero
184.        come appari allora, o prole
185.        dell’uomo? E ricordando
186.        il tuo stato sulla terra, di cui è testimonianza
187.        il suolo che io calpesto; e poi, d’altra parte
188.        (ricordando) che ti reputi padrona e fine
189.        del Tutto; e (ricordando) quante volte
190.        ti piacque fantasticare che, su questo oscuro
191.        granello di sabbia, che ha nome di Terra,
192.        per causa tua,
193.        scendevano gli dei che l’hanno creato, e conversavano
194.        spesso piacevolmente con i tuoi (simili); e (ricordando)
195.        che perfino l’’età presente, che in sapere
196.        e in civiltà
197.        sembra superare tutte (le ere precedenti),
198.        si burla dei saggi;
199.        o infelice umanità, quale moto
200.        nei tuoi confronti assale il mio cuore?
201.        Non so se prevale il riso o la pietà.
202.        Come un piccolo frutto, che cade dall'albero,
203.        nell'autunno inoltrato
204.        la maturazione fa precipitare a terra senza altra forza,
205.        e schiaccia, distrugge e seppellisce
206.        in un attimo gli accoglienti nidi (il formicaio)
207.        di un popolo di formiche, scavati nella terra molle
208.        con gran fatica, e ancora le gallerie
209.        e le riserve di cibo che con lunga fatica
210.        le infaticabili formiche in gara tra loro hanno
211.        raccolto con lungimiranza
212.        nella stagione estiva; così, piombando dall'alto,
213.        dalla bocca del vulcano
214.        (dopo essere stata) scagliata in alto verso il cielo,
215.        un turbine che copre il sole
216.        fatto di cenere, pomice e sasso,
217.        mescolata di rivoli
218.        di colate laviche,
219.        o un’immensa piena
220.        che scende furiosa tra l’erba,
221.        fatta di massi liquefatti e di metalli fusi
222.        e di terra infuocata,
223.        sconvolse e distrusse e ricoprì
224.        in pochi attimi
225.        le città che il mare bagnava
226.        sulla costa; così ora su quelle città
227.        pascola una capra, e sorgono nuove città
228.        all'esterno della colata, sopra
229.        le (città) sepolte, e l’alto monte
230.        quasi calpesta col suo piede le mura crollate.
231.        La natura non ha per il genere umano
232.        più stima o cura
233.        che per la formica: e se è vero che la strage
234.        è più rara tra quelli (uomini) che tra queste (formiche),
235.        ciò avviene d’altra parte solo perché
236.        le generazioni dell’uomo sono meno feconde.
237.        Sono passati ben mille e ottocento
238.        anni da quando scomparirono, schiacciate
239.        dalla forza della lava, le affollate città
240.        e il contadino, intento al lavoro
241.        nei vigneti, che a stento fa crescere
242.        la zolla morta e ricoperta di ceneri, in questi campi,
243.        ancora leva lo sguardo
244.        sospettoso al vulcano
245.        fatale che, per nulla divenuto più mite,
246.        ancor lo sovrasta tremendo, ancora minaccia
247.        strage a lui, ai suoi figli e ai loro
248.        miseri averi. E spesso
249.        il poverello sul tetto
250.        della sua rustica casa, giacendo all'aperto
251.        senza poter prendere sonno tutta la notte,
252.        e sobbalzando più volte per la paura, osserva il corso
253.        della temuta lava, che cola
254.        dall'inesauribile fornace
255.        sul dorso del vulcano, al cui bagliore risplende
256.        la marina di Capri
257.        e il porto di Napoli e Mergellina.
258.        E se vede avvicinarsi la lava, o se
259.        per caso sente gorgogliar in fermento nel profondo
260.        del pozzo di casa, sveglia in fretta i figli,
261.        sveglia la moglie, e via, con quanto
262.        delle loro cose possono raccattare,
263.        e, in fuga, vede da lontano la cara
264.        e quotidiana abitazione, e il modesto campo,
265.        che fu per lui unica difesa alla fame,
266.        preda della colata incandescente
267.        che giunge con mille crepitii, e inesorabile
268.        si stende per sempre sopra quelli (la casa e il campo).
269.        Ai raggi del sole torna
270.        dopo un oblio secolare, l’estinta
271.        Pompei, come uno scheletro
272.        sepolto, che dalla terra viene all'aperto
273.        per desiderio di ricchezza o pietà umana;
274.        e dalla piazza deserta
275.        il pellegrino, in piedi tra le fila
276.        delle colonne spezzate
277.        contempla da lontano la doppia cima (il Vesuvio e il monte Somma)
278.        e il pennacchio di fumo,
279.        che ancora minaccia la città distrutta.
280.        E nella notte piena di orrore
281.        per i teatri abbandonati,
282.        per i templi devastati e per le case distrutte,
283.        dove il pipistrello nasconde i propri piccoli,
284.        come una fiaccola misteriosa
285.        che si aggiri per palazzi vuoti,
286.        corre il bagliore della lava mortale,
287.        che da lontano in mezzo alle ombre (della notte)
288.        rosseggia bagliori, e tinge i luoghi tutt'intorno.
289.        Così, la natura, del tutto indifferente dell’uomo
290.        e alle ere che egli chiama antiche,
291.        e del succedersi delle generazioni umane,
292.        si mantiene sempre giovane e vigorosa, ed anzi scorre
293.        il suo cammino è così lungo
294.        che sembra sia immobile. Intanto, crollano i regni,
295.        si succedono le genti e le culture: ella non se ne
296.        accorge: e l’uomo si arroga il vanto dell’eternità.
297.        E tu, flessibile ginestra,
298.        che adorni con cespugli odorosi
299.        queste campagne deserte,
300.        anche tu presto soccomberai alla potenza
301.        devastatrice della lava,
302.        che ritornando al luogo
303.        già colpito, stenderà sui tuoi molli arbusti
304.        il suo mantello avido (di morte). E piegherai
305.        sotto la colata mortale il tuo fusto (capo) innocente
306.        senza opporre resistenza:
307.        ma senza averlo piegato prima
308.        invocando inutilmente pietà
309.        al futuro oppressore; ma (il tuo capo)
310.        non si è neanche eretto con folle orgoglio fino alle stelle,
311.        o sul deserto, dove
312.        sei nata e cresciuta
313.        non per tua scelta, ma per volere del caso;
314.        ma più saggia, ma tanto
315.        meno folle dell’uomo, poiché non hai mai creduto
316.        che le tue fragili generazioni siano divenute
317.        immortali o per il destino o per merito tuo.

ANALISI DEL TESTO

Nella prima strofa (vv. 1-51) vi è la visione del paesaggio lavico sul quale la ginestra fiorisce, ed il ricordo delle antiche città ricche di vita (“fur liete ville e colti”, “muggito d’armenti”) che occupavano questi luoghi prima che l’eruzione vulcanica distruggesse di colpo città ed abitanti. Il paesaggio si specifica in tre quadri:
-         Il formidabil monte, in cui si concreta sensibilmente l’immagine della potenza distruttiva della natura;
-         Le erme contrade intorno a Roma, immagine di desolazione e di abbandono, che richiama l’azione corrosiva del tempo e il perire irrimediabile di tutte le cose;
-         Le ceneri infeconde e l’impietrata lava, immagine di morte, obbiettivazione sensibile del destino delle creature, vittime della malvagia potenza della natura.
Per Leopardi questo è il luogo migliore affinché il secol superbo e sciocco finalmente vegga quanto / è il gener nostro in cura / all’amante natura?
La ginestra di Leopardi ha precise caratteristiche:
-         È contenta dei deserti e li abbellisce;
-         È sempre compagna di afflitte fortune;
-         È gentile e commisera i danni altrui
-         Consola la desolazione del deserto con il suo profumo.
Con le sue caratteristiche, la ginestra assume simbolicamente il valore della pietà verso la sofferenza degli essere perseguitati dalla natura e, quindi, la solidarietà fra gli uomini. Dato che per Leopardi la pietà si esprime soprattutto attraverso la poesia, possiamo scorgere un’identificazione tra il poeta e la ginestra. Inoltre, la ginestra rappresenta la vita che resiste ad ogni costo al deserto, alla potenza devastante della natura, ha un atteggiamento coraggioso e non rassegnato di opposizione e di sfida alla natura nemica, proprio come l’ultimo Leopardi.
Nella seconda strofa (vv. 52-86) Leopardi, materialista integrale, polemizza contro le nuove certezze del secol superbo e sciocco, convinto di poter consolare gli uomini, nascondendo loro, con concezioni di tipo spiritualistico e religioso, la reale condizione di miseria che la natura ha assegnato al genere umano, tanto più dal momento in cui ha smarrito il diritto cammino intrapreso dal Rinascimento sino all'Illuminismo, grazie al quale la civiltà si era risollevata dalla barbarie (poiché gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce). Leopardi denuncia tutte le contraddizioni del suo tempo:
-         Si esalta il progresso, ma si torna indietro alla barbarie;
-         S’inneggia alla libertà, ma il pensiero è di nuovo schiavo del dogma e dell’autorità, dimenticando che solo il pensiero libero può guidare verso il meglio del destino della collettività umana.
Leopardi incolpa la vigliaccheria degli uomini del suo tempo del successo della visione religiosa ed oscurantista e contrappone la propria figura eroica e solitaria, combattiva ed orgogliosa della propria nobiltà spirituale.
Nella terza strofa (vv. 87-144) il poeta definisce la vera nobiltà spirituale che non consiste nel proclamare con fetido orgoglio la grandezza dell’uomo e nel profetizzare ad esso un destino di inaudita felicità, ma nel guardare coraggiosamente in faccia il destino comune e nel dire il vero sulla condizione infelice ed effimera del genere umano. Alla pietà dannosa tesa a celare le miserie umane, Leopardi oppone l’esempio della nobil natura che nulla al ver detraendo / confessa il mal che ci fu dato in sorte / e il basso stato e frale: Leopardi ripone una grande fiducia in un ideale di solidarietà tra gli uomini contro la natura malvagia. Se ci si si mostra forti nel soffrire e fraternamente solidali con gli altri uomini, è possibile giungere ad un progresso civile e morale che assicuri una società più giusta, con rapporti più umani tra gli uomini. Questo progresso si fonda sul pessimismo, sulla lucida consapevolezza della tragica condizione dell’umanità. Se gli uomini avessero coscienza della loro infelicità e miseria, e del fatto che di ciò è responsabile la natura, si coalizzerebbero contro la loro implacabile nemica. Questo rinsalderebbe i legami sociali, la social catena: invece di combattersi e sopraffarsi a vicenda, per egoismo e avidità, come sempre fanno, gli uomini unirebbero le loro forze contro la natura e così nascerebbero vero amor tra gli uomini, giustizia e pietà.
Per Leopardi, l’intellettuale ha un ruolo fondamentale nella creazione di questa società giusta e civile: deve combattere i falsi miti del progresso, deve rendere palesi al vulgo il vero, indicare il nemico contro cui lottare, spingendo gli uomini alla fraternità.
Nella quarta strofa (vv. 145-201) lo scenario si sposta dalle rovine vulcaniche di colore bruno (colore che ricorda immagini luttuose) al cielo stellato che evoca una vasta meditazione sulla nullità della terra e del mondo degli uomini negli spazi sconfinati dell’universo, l’infinito del vero, in confronto al quale la misera prole dell’uomo  appare degna di riso per il suo stolto orgoglio o degna di pietà per la sua cecità e debolezza (non so se il riso o la pietà prevale).
Nella quinta strofa (vv. 202-236) vi è la lunga similitudine del picciol pomo che cadendo distrugge le formiche e i loro dolci alberghi: allo stesso modo, la natura, d’un tratto, può travolgere l’uomo, proprio come ha fatto nel 79 d.C. con le antiche città di Pompei e Ercolano. Questa similitudine unisce la casualità dell’evento e la sproporzione tra il suo aspetto trascurabile e le conseguenze terribili che è capace di generare.
Nella sesta strofa (vv. 237-296) vi è il motivo del tempo, il contrasto tra l’insignificanza del tempo umano e l’immobilità del tempo eterno della natura: mentre il tempo umano scorre vario, trasformando incessantemente le cose, la natura maligna incombe immutata, ferma nella sua minaccia. 1800 anni sono passati dall'eruzione che distrusse Pompei e Ercolano, e la cima del vulcano minaccia ancora di distruggere gli stessi luoghi. Nella prima metà della strofa si sviluppa il confronto tra la paura del villanello che vive nell'ostel villereccio ai piedi del vulcano, coltiva il piccolo campo, e teme giorno e notte l’eruzione. Nella seconda metà della strofa torna il ricordo della distruzione delle antiche città, visibile ancora tra i mozzi colonnati e il deserto foro, tornati alla luce grazie agli scavi archeologici. La natura maligna ognor verde, indifferente alle generazioni degli uomini e alla loro civiltà procede / per sì lungo cammino / che sembra star… E l’uom stolto, inconsapevole, d’eternità si arroga il vanto (crede di essere immortale).
Nella settima strofa (vv-297-317), con perfetta circolarità, Leopardi torna a rivolgersi alla ginestra: ne richiama il significato simbolico, la pietà per la desolata condizione delle creature (di selve odorate / queste campagne dispogliate adorni), e la carica di significati nuovi: la ginestra è ferma nel resistere alla distruzione, è pronta ad affrontare eroicamente l’ultima catastrofe che si prepara sul suo capo: con coraggio piegherai / sotto il fascio mortal non renitente / il tuo capo innocente, senza vili inutili suppliche all'onnipotenza della Natura indifferente e senza l’insensato orgoglio degli uomini. Nella ginestra si proietta l’immagine ideale della nobiltà dell’uomo.



[1] La luce è la coscienza della condizione umana, le tenebre sono le credenze ambiziose  di progresso e di interessamento divino alle sorti degli uomini.
[2] luogo della distruzione sia del fiore sia del poeta.
[3] Latinismo per “spaventoso”.
[4] Personificazione del Vesuvio, distruttore e nemico del genere umano.
[5] Lo spettacolo delle antiche rovine (delle vicende e delle opere umane annullate dalla natura e dal tempo) si intreccia con il deserto vesuviano, poiché in entrambi c’è il senso della fragilità e della pochezza umana.
[6] La ginestra diviene simbolo della solidarietà verso ogni sorte infelice.
[7] Leopardi ricorda che in questi luoghi sorgevano le ricche città di Pompei, Ercolano e Stabiae, distrutte dall'eruzione del vulcano del 79 d.C.  vv. 17-32
[8] Allitterazione Cavernoso COvil torna il COniglio
[9] Anafora (fur…fur…fur) vv. 24, 27, 29
[10] Latinismo per “ricche”
[11] Polisindeto (e…e…e…e..) vv. 24-25
[12] Nello Zibaldone 1928 il muggito d’armenti è  la suggestione dell’infinito (Il passero solitario, v. 8)
[13] I versi dedicati alla ginestra sono caratterizzati da una delicata musicalità che costituisce il linguaggio della pietas.
[14] Amante è detto con amara ed evidente ironia. Qui inizia la polemica leopardiana contro l’ottimismo di coloro che credevano che la natura fosse creata per il bene dell’umanità.
[15] In quest’ultima parte della strofa si ha un brusco passaggio dal motivo lirico a quello polemico-sarcastico contro l’ottimismo di chi esalta la potenza dell’uomo. La citazione in corsivo proviene dalla dedica che Terenzio Mamiani, cugino del poeta, aveva premesso agli Inni Sacri. L’ironia e la polemica corrosiva sono qui indirizzate contro il facile ottimismo ed il vuoto orgoglio degli spiritualisti cattolici per lo splendido destino di progresso a cui era destinata, secondo loro, l’umanità. Inoltre, l’Iperbato vv. 49-51 esaspera il ridicolo nell'enunciato.
[16] Leopardi condanna le filosofie spiritualistiche dell’Ottocento che, facendo rivivere le vecchie concezioni medievali, finivano per rifiutare le concezioni materialistiche e scientifiche che, nate nel Rinascimento, si erano andate sviluppando con l’Illuminismo ed avevano liberato l’uomo dalla barbarie medievale.
[17] Latinismo per “avvolge, ricopre”
[18] La filosofia dell’Illuminismo. Ai vv. 80-82 risponde con sarcasmo il motto di Giovanni che fa da epigrafe al canto: gli uomini amano più il buio che la luce, preferiscono le menzogne alla verità (il vero del v. 78)
[19] L’uomo deve riconoscere ed accettare la verità della propria condizione, dimostrando così la sua vera grandezza.
[20] La Natura è la vera responsabile della sofferenza umana.
[21] La nobile natura umana è quella che si lascia guidare dalla solidarietà di tipo illuministico (cosmopolitismo)
[22] La guerra di tutti gli esseri umani contro la Natura
[23] Similitudine vv. 138-144. Gli uomini che fanno guerre fratricide sono stupidi perché dimenticano che il vero nemico è la Natura. L’inimicizia umana fa il gioco del nemico, ossia della Natura.
[24] Nel Rinascimento e nell'Illuminismo
[25] L’idea del Patto sociale deriva dalle dottrine settecentesche, in particolar modo dal Contratto sociale di Rousseau
[26] “Fole” perché le idee dei liberali, dei cattolici e dei progressisti pretendono di fare dell’uomo un essere felice
[27] Quando questa coraggiosa concezione sarà di nuovo, come fu in passato, comune non solo a pochi ma a tutti (al volgo),; quando quell'orrore dinanzi alla natura nemica che un tempo spinse gli uomini a costituirsi in società sarà ripristinato da un sapere fondato sulla realtà delle cose, allora l’onestà e la rettitudine nei rapporti sociali, la giustizia e la pietà avranno solide fondamenta, anziché fantasie superbe ed inconsistenti che reggono il popolo sull'errore.
[28] Ricordando che sei fango e polvere
[29] La Metafora “utero tonante” dà urgenza concreta all'idea di una natura “madre di parto e di voler matrigna”, dal cui grembo esce la vita, ma può indifferentemente uscire la morte.
[30] Il Polisindeto sottolinea la rapidità fulminea delle fasi distruttive.
[31] Similitudine Natura = Pomo; Uomini = formiche, vv. 202-222; riprende la descrizione dell’eruzione dell’Etna presente nell'Eneide, III, 571-577
[32] Parola onomatopeica
[33] Metafora
[34] L’uomo si arroga il vanto dell’eternità, senza capire l’indifferenza della Natura nei suoi riguardi
[35] La ginestra offre il suo esempio all'uomo
[36] Ironia
[37] Anafora (sol … solo … sola) vv. 75-76

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VERSIONE DI LATINO Nondum certa Romanis victoria erat ; alia iis supererat moles. Namque multitudo Gallorum, sensum omnem damni exsuperans , integros milites  adversus victorem hostem ciebat ; steterunt que suppresso impetu Romani , et quia iterum fessis subeunda dimicatio erat et quod consul, dum inter primores incautus agitat , laevo umero materi prope traiecto , cesserat parumper ex acie. Iamque omissa cunctando victoria erat , cum consul, vulnere alligato , revectus ad prima signa, "Quid statis , milites?" inquit .«Non cum Latino Sabinoque hoste res est , quem victum armis socium ex hoste fecistis ; in beluas strinximus ferrum; hauriendus aut dandus est sanguis. Propulistis a castris, supina valle praecipites egistis , stratis corporibus hostium superstatis ; complete eadem strage campos qua montes replevistis . Nolite exspectare dum stantes vos fugiant ; inferenda sunt signa et vadendum in hostem». His adhortationibus iterum coorti , milites Romani pellunt loco primos