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ὕβϱις e φθόνος τῶν θεῶν nell'opera di Erodoto

ὕβϱις e φθόνος τῶν θεῶν nell'opera di Erodoto

L’imponente opera di Erodoto (484–430 a.C.) ci è giunta sotto il titolo greco di Ἱστορίαι (Historíai), ovvero “Storie”, suddivisa in nove libri che oggi potremmo definire “capitoli”. Al centro del suo racconto troviamo la drammatica epopea delle guerre persiane, con protagonisti i grandi sovrani dell’impero persiano – Ciro, Dario e Serse – impegnati in campagne di conquista che si estendono dalla Mesopotamia all’Egitto, passando per l’Anatolia. Queste imprese, narrate con passione e dettaglio da Erodoto, culminano nello scontro con il mondo greco nei primi decenni del V secolo a.C. – un conflitto epico che vede i greci prevalere, non senza fatica, in celebri battaglie come Maratona, le Termopili e Salamina.


Ma la narrazione storica è per Erodoto anche il pretesto per un viaggio narrativo ricco di episodi affascinanti, spesso al confine tra realtà e leggenda, sui popoli e le culture che incontra lungo il cammino. La sua voce, erede dell’antica epica, è quella di un narratore coinvolgente e abile, capace di alternare l’acume storico al gusto per il racconto vivido e suggestivo. Questo intreccio tra storia e narrazione è forse l’aspetto più originale della sua opera.


Un altro elemento distintivo è il modo in cui Erodoto interpreta gli eventi attraverso una lente profondamente religiosa. Secondo la sua visione, le divinità non sono spettatrici distanti ma intervengono quando gli uomini osano troppo – spinti da eccessiva ambizione o arroganza – e violano l’ordine naturale delle cose. È questo il concetto di ὕβϱις (hybris), la tracotanza che fa perdere il senso del limite. Una frase emblematica recita: “O re, non lasciarti prendere dalla tracotanza, e non gonfiarti d’orgoglio.” A suscitare l’ira divina è, secondo Erodoto, anche un sentimento di gelosia da parte degli dei – φθόνος τῶν θεῶν (phthònos ton theòn), ovvero l’invidia divina – che punisce coloro che osano sfidare la sorte, spesso con esiti tragici. Lo stesso autore scrive che “la divinità è fondamentalmente invidiosa”, un messaggio che attraversa tutta la sua visione della storia come monito contro l’eccesso umano.

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