La decadenza dei Romani (De Cat. con. 10-11)
Nell’opera di Sallustio, l’archeologia occupa otto capitoli (dal 6 al 13) ed è divisa in due parti: una positiva (capitoli 6-9), che racconta i buoni costumi e la crescita della Roma antica, e una negativa (capitoli 10-13), che descrive le cause della sua decadenza.
Nel capitolo 10, Sallustio individua l’inizio della rovina di Roma nella distruzione di Cartagine (146 a.C.). Dopo aver sconfitto tutti i nemici e conquistato il Mediterraneo, Roma non ha più avversari esterni da temere. Questo porta a un progressivo decadimento morale: l’ambizione prende il posto della concordia, l’avidità sostituisce la sobrietà, la falsità rimpiazza la lealtà. Lo Stato entra così in una fase di degrado inevitabile.
Sallustio, seguendo una visione moralistica tipica della storiografia antica, non attribuisce il cambiamento a cause politiche o sociali (come l’incapacità della Repubblica di gestire un impero vasto e complesso), ma lo spiega come una conseguenza del destino e della corruzione dei costumi.
Nel testo latino, si descrive come Roma, grazie alla fatica e alla giustizia, abbia conquistato re, nazioni barbare e popoli potenti. Con la caduta di Cartagine, tutto il mondo sembrava aperto, ma la fortuna iniziò a sconvolgere ogni cosa. Coloro che avevano sopportato guerre e difficoltà, non seppero gestire la ricchezza e il riposo, che divennero per loro fonte di sofferenza.
L’avidità e la sete di potere crebbero, diventando la causa di tutti i mali. L’avidità distrusse la fiducia, l’onestà e le virtù, e al loro posto insegnò arroganza, crudeltà, disprezzo degli dèi e corruzione. L’ambizione rese gli uomini falsi, capaci di dire una cosa e pensare un’altra, di valutare amicizie e inimicizie in base all’interesse, e di curare più l’apparenza che il carattere.
Questi vizi inizialmente crescevano lentamente e venivano talvolta puniti, ma poi si diffusero come una malattia, trasformando la città e rendendo il governo, un tempo giusto e ottimo, crudele e insopportabile.
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