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Alcibiade lascia Atene a seguito di un’accusa infamante

Altri titoli:
De Alcibiade iterum ab inimicis accusato; 
Invidia per Alcibiade; Motivi della rovina di Alcibiade; Breve fortuna di Alcibiade

Laetitia qua Alcibiades Athenis usus est non nimis fuit diuturna. Nam cum ei omnes honores essent decreti totaque res publica domi bellique tradita esset, ut unius arbitrio gereretur, et ipse postulavisset, ut duo collegae darentur, Thrasybulus et Adimantus, neque id negatum esset, classe in Asiam profectus, quod apud Cymen minus ex sententia rem gesserat, in invidiam recidit. Nihil enim eum non efficere posse putabant. Ex quo eveniebat ut omnia minus prospere gesta culpae tribuerent, sicut tum accidit: nam corruptum a rege capere Cymen noluisse arguebant. Itaque huic maxime putamus malo fuisse nimiam opinionem ingenii atque virtutis: timebant enim cives ne secunda fortuna magnisque opibus elatus tyrannidem concupisceret.


La gioia, della quale Alcibiade godé ad Atene, non fu troppo duratura. Infatti essendogli (dopo che gli erano) stati decretati tutti gli onori e essendo(gli) stato consegnato tutto lo Stato in pace ed in guerra, cosicché fosse controllato dalla volontà di uno solo, ed egli stesso avesse chiesto che gli fossero dati due colleghi, Trasibulo ed Adimanto, e non essendogli stato negato ciò, partito con una flotta per l'Asia, perché presso Cime gli era andata meno bene di quanto si aspettava, ricadde nell’invidia (nel sospetto). Infatti credevano che egli potesse fare ogni cosa (che non ci fosse nulla che egli non potesse realizzare). Da ciò accadeva che imputassero a (sua) colpa tutte le cose compiute meno favorevolmente, come effettivamente allora accadde: infatti (lo) accusavano che, corrotto dal re, non aveva voluto prendere Cime. E così reputiamo che per lui sia stato di danno (dativo di effetto) l’eccessiva considerazione di ingegno e di valore: infatti i cittadini temevano che insuperbito dalla propizia fortuna e dalle grandi ricchezze desiderasse la tirannide.


da Cornelio Nepote,  De vita excellentium imperatorum, Storie, Alcibiade, 7

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