Eurialo e Niso
Virgilio, Eneide, Libro IX, 418-449 La morte di Eurialo
TESTO LATINO
Dum
trepidant, it hasta Tago per tempus utrumque
stridens traiectoque haesit tepefacta
cerebro.
420 Saevit atrox Volcens
nec teli conspicit usquam
auctorem nec quo se ardens immittere
possit.
“Tu tamen interea calido mihi sanguine poenas
persolves amborum” inquit;
simul ense recluso
ibat in Euryalum. Tum vero exterritus, amens,
425 conclamat Njsus nec se celare tenebris
amplius aut tantum
potuit perferre dolorem:
“Me, me, adsum qui feci, in me convertite
ferrum,
o Rutuli! Mea fraus omnis, nihil iste nec ausus
nec potuit; caelum hoc et conscia sidera testor;
430 tantum infelicem nimium dilexit amicum”.
Talia dicta dabat,
sed viribus ensis adactus
transadigit costas et candida
pectora rumpit.
Volvitur Euryalus leto, pulchrosque
per artus
it cruor inque umeros cervix
conlapsa recumbit:
435 purpureus veluti cum flos succisus aratro
languescit moriens, lassove papavera collo
demisere
caput pluvia cum forte gravantur.
At Njsus ruit in medios
solumque per omnis
Volcentem petit, in solo Volcente moratur.
440 Quem circum glomerati
hostes hinc comminus atque hinc
proturbant. Instat
non setius ac rotat ensem
fulmineum, donec Rutuli clamantis in ore
condidit adverso et moriens animam abstulit hosti.
Tum super exanimum sese proiecit amicum
445 confossus, placidaque
ibi demum morte
quievit.
Fortunati ambo! Si quid mea carmina possunt,
nulla dies umquam memori vos eximet aevo,
dum domus Aeneae Capitoli immobile saxum
accolet imperiumque pater Romanus habebit.
TRADUZIONE IN ITALIANO
Mentre quelli si affannano,
l’arma passa da parte a parte le tempie di Tago,
sibilando, e, tiepida, dopo
aver trafitto il cervello, vi rimane conficcata.
Infuria atroce Volcente e non
riesce a vedere in nessun luogo l’autore 420
del lancio, né dove possa
scagliarsi, rabbioso.
“Ma intanto sarai tu a pagare
col tuo caldo sangue la pena
di entrambi”, disse: e
subito, sguainata la spada,
si getta su Eurialo. Allora
Niso, terrorizzato, fuori di sé
scoppia in un grido, e non
poté più nascondersi nelle tenebre 425
o sopportare un così grande
dolore.
“Io, io! Sono io che l’ho
fatto, puntate contro di me la spada,
o Rutuli! (è) tutta
opera mia; costui non osò e non poté
nulla, mi siano testimoni il
cielo e le stelle;
egli ha solo amato troppo un
amico sfortunato”. 430
Tali parole diceva; ma una
spada, vibrata con violenza,
trafisse il costato e sfondò
il candido petto.
Eurialo cade riverso nella
morte e il sangue scorre
per le belle membra e il capo
si adagia, inerte, sulle spalle:
come un fiore purpureo
quando, reciso dall’aratro, 435
langue, morendo, o come i
papaveri chinano il capo
sul collo stanco, quando la
pioggia li opprime.
Niso allora si butta nel
mezzo e solo, fra tutti,
cerca Volcente, contro il
solo Volcente si ostina;
i nemici, addensatisi intorno
a lui, lo stringono 440
da vicino. Nondimeno egli
continua ad incalzare e rotea la spada
fulminea, finché non la
immerge nella bocca
del Rutulo urlante e, morendo, toglie la vita al nemico.
Allora, trafitto, si gettò
sull’amico
esanime e lì riposò infine in
una placida morte. 445
Fortunati entrambi! Se i miei
versi possono qualcosa,
nessun giorno vi sottrarrà
mai al ricordo del tempo,
finché la gente (LETT. la casa) di Enea
abiterà sull’immobile rupe
del Campidoglio e il Padre
romano (Senatore Romano) possiederà l’impero.
ANALISI
amens vuol dire “fuor di sé”, impazzito; è formato da a- privativo + mens.
ferro: sineddoche per gladium.
e non poté: Niso mente apertamente per sminuire la responsabilità del compagno.
candido petto: il candore della pelle, per sottolinearne la bellezza.
sul collo stanco: la morte di Eurialo è rappresentata dal contrasto tra la brutalità della ferita e la bellezza delle sue membra giovanili;
Similitudini floreali: il fiore reciso anzi tempo; i papaveri che si afflosciano a causa dalla pioggia.
collo “collo” per il gambo; caput“capo” per la corolla = Metafore.
placida morte: vendicato Eurialo, Niso riposa in pace
vi sottrarrà: Virgilio si rivolge qui direttamente ai due giovani uniti dall’amicizia nella e nella morte e per questo il poeta li definisce “fortunati”.
alla memoria del tempo: il memor aevum è il tempo che conserva la memoria.
casa di Enea: sta per la gens Iulia, che attraverso Iulo/Ascanio discendeva da Enea, e può essere esteso a tutto il popolo romano.
Il Campidoglio era nel centro più antico della città e su di esso erano stati edificati i templi degli dèi più importanti.
padre romano: Sineddoche, singolare per il plurale, sta per patres Romani, i senatori romani, giacché il senato impersonava la maestà dell’Impero Romano. Virgilio riafferma qui il carattere nazionale e dinastico del suo poema.
Nei versi 446-339 Virgilio si inserisce direttamente nella narrazione:
‘Fortunati entrambi! Se i miei versi possono qualcosa,
nessun giorno vi sottrarrà mai al ricordo del tempo,
finché la gente (LETT. la casa) di Enea abiterà sull’immobile rupe
del Campidoglio e il Padre romano (Senatore Romano) possiederà l’impero’.
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