LATINO Seneca, “Epistulae morales ad Lucilium”, Epistula 95
VITA E OPERE
Lucio Anneo
Seneca (Cordova, 4 a.C. – Roma, 65) apparteneva a una ricca famiglia equestre
spagnola ed era figlio del famoso Seneca il Retore. Da giovane, fu portato a
Roma dalla zia materna; e ricevette un’ottima educazione letteraria e storica,
completata con studi di retorica e di filosofia: i suoi maestri furono:
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Sozione di Alessandria, vicino alla scuola stoico-pitagorica
dei Sestii
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lo stoico Attalo, cultore di scienze naturalistiche
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Papirio Fabiano.
Intorno al 26
d.C. si recò in Egitto per motivi di salute, con suo zio, il prefetto Gaio
Valerio. Le sue condizioni di salute migliorarono, anche grazie alle cure della
zia materna. Tornato a Roma, intorno
al 33-34 d.C., ottenne la questura, il primo grado del cursus honorum; si dedicò all'attività oratoria, ottenendo fama e
successo. Scrisse la Consolatio ad
Marciam, il primo dei suoi scritti pervenutici, composto tra il 39 e il 40
d.C., e il De ira, opere di argomento
filosofico di Seneca, pervenuteci sotto il nome di Dialogi, anche se delle dieci opere soltanto il De tranquillitate animi ha carattere
dialogico.
Nel
41 d.C. l’imperatore Claudio condannò Seneca all’esilio in Corsica con
un’accusa di adulterio (con Giulia Livilla), ispirata da Messalina. Sull’isola
Seneca è costretto a rimanere per otto lunghi anni, nonostante il tentativo di ingraziarsi Claudio con l’elogio contenuto
nella Consolatio ad Polybium,
dedicata a un potente liberto dell’imperatore addetto alle petizioni. Nello
stesso periodo compone la Consolatio ad Helviam matrem.
Il quinquennium Neronis:
Nel
48 d.C. Agrippina, divenuta la nuova moglie di Claudio, ottenne il perdono per
Seneca e, nel 50 d.C., la pretura, col fine di farne il precettore di Nerone,
il figlio che aveva avuto in prime nozze. Nel 54 d.C. morì Claudio, e Seneca si
vendicò componendo la beffarda satira Ludus de morte Claudii, nota anche
come Apokolokýntosis («Apoteosi della zucca»). A soli 16 anni Nerone
salì al trono e Seneca fu, insieme al prefetto del pretorio Afranio Burro, consigliere
politico del giovane imperatore; questa fase durò fino al 58-59 d.C. e
venne considerata di buon governo, nonostante diversi crimini compiuti da
Nerone, come l’uccisione del fratellastro Britannico nel 55 d.C., che Seneca
giustificò in nome della ragion di Stato. Parte dei beni di Britannico è
stata destinata a Seneca.
Seneca accumulò un ingente
patrimonio, divenendo uno degli uomini più ricchi di Roma. Negli anni 55-56
d.C. Seneca compose il trattato etico-politico De clementia, il
manifesto ideologico della monarchia illuminata, dedicato a Nerone. Altri
dialoghi redatti in questi anni sono: De constantia sapientis; De
tranquillitate animi; le tragedie (Hercules furens, Troades, Phoenissae,
Medea, Phaedra, Oedipus, Agamemnon, Thyestes,
Hercules Oetaeus).
Il ritiro a vita privata e la
condanna a morte: Nel marzo del 59
d.C., Nerone decise di eliminare la madre; Seneca capì di essersi illuso
credendo di guidare l’imperatore in un governo improntato a un’autocrazia
illuminata. Tuttavia egli rimase a fianco di Nerone fino al 62 d.C. quando,
dopo la morte di Burro, diventò prefetto del pretorio Tigellino, uomo senza
scrupoli; Seneca si ritirò a vita privata e si dedicò ai suoi studi.
Negli anni 62-65 d.C., Seneca compose il De otio e il De providentia, i trattati De beneficiis, le Naturales quaestiones, e le Epistulae morales ad
Lucilium. Nonostante il distacco
dalla vita politica e pubblica, nel 65 d.C. venne scoperta la congiura
di Gaio Calpurnio Pisone e, nel corso della sua sanguinosa repressione, il
19 aprile, per ordine dell’imperatore, Seneca (non si sa se realmente coinvolto
o solo a conoscenza della congiura) venne costretto al suicidio, come
raccontato da Tacito (Annales 15,62-64). Pompea Paolina, la seconda
moglie, avrebbe voluto seguirlo nella morte, ma per ordine di Nerone fu
salvata.
Le Epistulae morales ad Lucilium
Le Epistulae
morales costituiscono un unicum nella letteratura
antica, un genere nuovo. Lo scambio epistolare è per Seneca il
mezzo più efficace a livello pedagogico, poiché consente di creare
quell'intimità che rende più efficace l’insegnamento e, attraverso un linguaggio
semplice e familiare, esporre dei concetti molto profondi per tutti quelli che
intendono combattere i vizi e cercare la virtù.
Le Epistulae morales ad Lucilium, capolavoro di Seneca,
sono formate da 20 libri in cui sono raccolte 124 lettere di argomento etico, composte durante gli anni di ritiro
dalla vita pubblica, tra il 62 e il 65 d.C. e indirizzate da Seneca
al suo amico
e discepolo Lucilio, un giovane appartenente al rango degli equites che aveva ricoperto
le cariche di governatore e procuratore. Sembra che l’epistolario sia reale, e
non una finzione letteraria; tuttavia, le lettere sono chiaramente scritte non
solo per Lucilio, ma per il più vasto pubblico dei posteri. Esse contengono, nella
forma più ampia e compiuta, l’essenza del pensiero filosofico di Seneca. Sono
componimenti di tono colloquiale,
intimo, discorsivo, dotati di grande immediatezza. Innovativa è la coesistenza della dimensione teoretica e
pratica: la riflessione filosofica si accompagna esperienziale concreta
e quotidiana dell’autore.
La
raccolta è contraddistinta da una grande
varietà anche riguardo alla dimensione delle lettere: alcune sono molto
brevi (Epistula 1), e altre lunghe quanto un trattato (Epistula 47);
lo stile è flessibile e vario, originale, ricco d’immagini, metafore ed esempi
(praecepta) che ravvivano il discorso.
L’obiettivo
delle lettere è il progresso morale: la miseria dell’uomo di fronte alle
avversità della vita, alle passioni e al male; l’importanza della meditazione;
il rifugio nella solitudine della saggezza (Epistulae 7 e 73) e la partecipazione al destino di tutti gli
altri individui, dei quali si postula l’uguaglianza (Epistula 95, 51-53, ove difende la dignità
di ogni uomo e si scaglia contro alcuni aspetti della pratica
della schiavitù); la riflessione (Recede in te ipsum, “ritirati in te
stesso”) sul tempo (vindica te tibi, “riprenditi te stesso”), sulle
sventure umane (Epistula 96) e
sulla morte (che dev’essere affrontata con serenità, come Seneca stesso
dimostrerà in prima persona, Epistula 24). L’otium senechiano
(trattato anche nel De brevitate
vitae, con
gli esempi di Ottaviano Augusto e Cicerone) non è oziosità, ma personale
ricerca del bene e della libertà interiore, il fine ultimo del
saggio stoico.
La Natura ci ha creato parenti: HUMANITAS e SOLIDARIETA’ in Seneca
Seneca,
nel De tranquillitate animi
afferma: “Questo è il dovere dell'uomo: aiutare gli uomini”.
L’humanitas è un sentimento di bontà
universale, senz’alcuna discriminazione razziale, religiosa, sociale. Dall'humanitas nasce la solidarietà: il sentimento di
fraternità, frutto della consapevolezza dell’appartenenza comune e della
condivisione d’interessi, che trova espressione in comportamenti di reciproco
aiuto e altruismo. Nella lunga Epistula ad Lucilium 95, nei paragrafi 51-53 la solidarietà umana ha, per Seneca,
un fondamento naturale ed inevitabile:
“ […] membra sumus corporis magni.
Natura nos cognatos edidit, cum ex isdem et in eadem gigneret; haec
nobis
amorem indidit mutuum et sociabiles
fecit . [...] Societas nostra lapidum fornicationi
simillima est”.
“ […] siamo membra di un
grande corpo. La natura ci ha creato parenti, avendoci creato dalle stesse cose (elementi) e per le stesse cose (fini); questa (la natura) ci ha ispirato l’amore reciproco e ci ha
fatto solidali [...]. La nostra società è molto
simile a una volta di pietre”.
Seneca afferma
che la solidarietà non solo è parte della natura umana, ma è importante per tutta la società umana, che senza di
essa crollerebbe e cesserebbe di esistere. Infatti, Seneca paragona la società
umana a una volta di pietre,
visibili ancora oggi passeggiando per i Fori Imperiali di Roma: se tutte le
pietre non si reggessero a vicenda, se non ci fosse solidarietà tra le pietre,
l’arco crollerebbe; allo stesso modo, senza la solidarietà tra gli uomini, la
società crollerebbe. Nessun autore antico ha deplorato più di Seneca la follia delle guerre, la voluttà di
sangue che trasforma l’uomo in una belva. E’ troppo poco limitarsi a non far
del male, bisogna impegnarsi a far il bene con spirito d’amore, soprattutto a favore
di quelli che hanno più bisogno d’aiuto. Seneca esorta, infine, a tenere sempre
a mente le parole pronunciate,
a giustificazione della curiosità e della debolezza della natura umana, dal
vecchio Cremete nell'Heautontimorumenos
del commediografo Terenzio: "Homo sum,
humani nihil mihi alienum puto" (I, 1, 25)
Testo originale di Seneca "Il dovere della Solidarietà"
[51] Ecce altera quaestio,
quomodo hominibus sit utendum[1].
Quid
agimus? Quae damus praecepta? Ut parcamus sanguini humano?
Quantulum est ei non nocere cui debeas prodesse! Magna scilicet laus est si
homo mansuetus homini[2]
est. Praecipiemus ut naufrago manum porrigat, erranti viam monstret, cum
esuriente panem suum dividat? Quare omnia quae praestanda ac vitanda sunt dicam[3]?
Cum possim breviter hanc illi formulam humani offici tradere: [52] omne hoc
quod vides, quo divina atque humana conclusa sunt, unum est; membra sumus
corporis magni. Natura
nos cognatos edidit, cum ex isdem et in eadem gigneret; haec nobis amorem
indidit mutuum et sociabiles fecit. Illa aequum
iustumque composuit; ex illius constitutione miserius est nocere quam laedi; ex
illius imperio paratae sint iuvandis manus. [53] Ille versus et in pectore et
in ore sit:
"Homo
sum, humani nihil a me alienum puto".
Ita habeamus: in commune nati
sumus. Societas nostra lapidum fornicationi simillima est, quae, casura[4]
nisi in vicem obstarent, hoc ipso sustinetur.
[51] Ecco
un’altra questione, in che modo dobbiamo comportarci con gli uomini. Cosa facciamo?
Quali insegnamenti diamo? (Insegniamo) a non spargere sangue umano? Quanto è
piccola cosa non nuocere a colui al quale ciò debba giovare! Grande merito
davvero se l’uomo è mite verso l’(altro) uomo. Insegneremo a porgere la mano al
naufrago, a mostrare la strada all'errante, a dividere il pane con l’affamato?
Perché dico tutte le cose da fare o da evitare, quando posso brevemente
trasmettere questa formula di tutte quelle attività umane? [52] Tutto ciò che
vedi, in cui sono contenute le cose divine e umane, è unico; siamo membra di un
grande corpo. La natura ci ha creato parenti, avendoci creato dagli stessi elementi
e per gli stessi fini, ci ha ispirato l’amore reciproco e il dovere della
solidarietà operosa. Essa ha stabilito l’equo e il giusto; secondo il suo
ordinamento è cosa più miserevole fare il male che subir(lo); secondo il suo
comando, che le mani siano pronte per coloro che devono essere aiutati. [53]
Sia sempre sia nel cuore sia nella bocca quel famoso verso
“Sono un uomo;
niente di umano ritengo a me estraneo”.
Teniamo presente
questo concetto: siamo nati (per vivere) in società. La nostra società è molto
simile a una volta di pietre, la quale, (sarebbe) destinata a cadere se (le
pietre) non si reggessero a vicenda, proprio per questo si regge.
Epistulae morales ad Lucilium, Epistula 95, 51-53
Note:
[1]
interrogativa indiretta con perifrastica passiva
[2]
Poliptoto homo/homini
[3]
congiuntivo dubitativo
[4] il
participio futuro “casura” fa da apodosi del periodo ipotetico dell’irrealtà
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