VIRGILIO: ENEIDE e GEORGICHE

L'Eneide: un epos per il Principato, tra storia e mondo omerico

 Il capolavoro 'nazionale' di Virgilio, l'Eneide, di argomento mitologico, aveva lo scopo di imitare le grandi opere di Omero (l'Iliade e l'Odissea) e lodare Augusto «partendo dai suoi antenati», celebrare e nobilitare le origini di Roma e le imprese gloriose della gens Iulia e soprattutto del Princeps Ottaviano Augusto, in quanto discendente diretto dell'eroe troiano Enea, figlio della dea Venere e del troiano Anchise. Secondo un'antica leggenda molto nota ai Romani, Enea per volere del Fato era riuscito a scampare alla distruzione di Troia e, dopo lunghe peregrinazioni, aveva raggiunto il Lazio, dove aveva dato inizio a quelle che poi sarebbe diventata la più grande potenza del Mediterraneo: ROMA.

Come modello per la sua opera Virgilio scelse gli Annales di Ennio, un poema epico-storico, ma per di più volle confrontarsi direttamente con Omero, per celebrare Augusto «partendo dai suoi antenati» e nobilitare le origini di Roma. Infatti, Virgilio adopera le tecniche narrative omeriche, soprattutto per quanto riguarda le previsioni della grandezza di Roma e le descrizioni degli eventi più importanti della storia di Roma. Proprio intrecciando le ispirazioni omeriche con il presente augusteo, Virgilio riesce a equilibrare la tradizione dell'epos eroico di Omero con l’epica storico-celebrativa di Ennio necessaria alla propaganda augustea.

La pietas come valore romano

L'intera avventura di Enea è una missione voluta dal Fato e accettata e compiuta dall'eroe grazie alla pietas, un valore fondamentale del popolo romano che nell'Eneide diviene il tratto distintivo del pius Enea: la pietas è qui intesa come «devozione», «obbedienza» nei confronti della famiglia, dei compagni e soprattutto del volere degli dèi, anche quando questo va contro il suo stesso volere. Enea accetta il suo destino e si mostra pius anche nei confronti del nemico Turno, che uccide solo perché in collera per la morte di Pallante. Un altro autore in cui vediamo la celebrazione della pietas come valore romano è Cicerone, il quale però la intende come devozione per la patria, rispetto e senso del dovere del cittadino verso lo stato. Per Cicerone lo stato non è res publica, ma patria (derivato etimologicamente da pater): la parola pietas per Cicerone è legata ai legami di sangue.

Anche l'imperatore Augusto vuole presentarsi come pius agli occhi dei romani, dapprima per aver ucciso i cesaricidi e poi come protettore del popolo romano. Infatti, la sua pietas è paternalismo: Augusto da pater familias diviene pater patriae (fondendo pietas e clementia). La pietas è anche personificata sullo scudo che Augusto dona al senato, insieme a virtus, iustitia e clementia.

Nessuno dunque potrà opporsi al potere di Augusto perché è stato voluto direttamente dagli dei, come mostra l'opera virgiliana.

Le Georgiche all'interno del percorso umano e intellettuale di Virgilio

Prima di scrivere l'Eneide, Virgilio aveva lavorato alla sua seconda opera, commissionatagli da Mecenate, il consigliere di Augusto, ed intitolata "le Georgiche". Si tratta di un poema didascalico in esametri, diviso in 4 libri in cui Virgilio celebra l'agricoltura, la vita dei campi, la società che aveva fatto grande Roma: quella di Catone il Censore (autore del De agri cultura) legata profondamente al mos maiorum, il costume degli antichi. Infatti, con quest'opera Mecenate, Augusto e Virgilio intendevano riportare i romani ai valori originari. La campagna descritta da Virgilio è quella dei piccoli agricoltori, come suo padre, che lavoravano la terra con l’aiuto della sola famiglia e di pochi schiavi.

Per rifinire perfettamente quest'opera Virgilio dovette fare per 8 anni un grandissimo lavoro di labor limae, rispettando i canoni estetici della poesia ellenistica, cosa che gli permise di superare per qualità poetica anche i modelli greci a cui si era ispirato, come Esiodo (Le opere e i giorni).

Le Georgiche permisero a Virgilio di affermarsi come il più grande poeta dell'epoca, la sua consacrazione a Poeta magnus della corte del Divus Augustus, l'unico capace di celebrare a pieno l'età augustea e propagandare tutta l'ideologia di Augusto: il ritorno al mos maiorum, la pietas, il ritorno alla campagna, luogo in cui dedicarsi all'otium.


Impossibile non citare l'epitaffio, forse voluto dallo stesso Virgilio:

"Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces."

Tradotto:

"Mantova mi generò, i Calabresi mi rapirono, ora mi tiene Partenope; cantai i pascoli, le campagne, i condottieri".



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