L'ATOMO

 

La struttura dell’atomo

L’atomo non è una particella indivisibile e compatta, ma è costituito da tre tipi di particelle subatomiche dotate di massa e dette: protoni, elettroni e neutroni. L’atomo è costituito da un nucleo centrale formato dai nucleoni (protoni e neutroni) pesanti e da una nube circostante attorno al nucleo in cui orbitano particelle molto più leggere dette elettroni. I Protoni sono carichi positivamente, i neutroni sono elettricamente neutri, mentre gli elettroni sono carichi negativamente. I protoni e i neutroni insieme costituiscono la totalità della massa atomica. Gli elettroni invece hanno massa 1837 volte inferiore a quella dei nucleoni.

Il numero di massa (A) è dato dalla somma del numero di protoni (Z) e del numero di neutroni (N) presenti nel nucleo di un atomo di un elemento. Gli atomi, nel loro complesso, sono elettricamente neutri perché il Numero di elettroni è uguale al numero di protoni, detto numero atomico (Z). Il numero di protoni, e quindi il numero di elettroni, determina le caratteristiche chimiche di un atomo. Le reazioni chimiche coinvolgono esclusivamente gli elettroni. Il primo scienziato a descrivere un modello per la struttura dell’atomo fu il fisico inglese Thomson (1856-1940, Premio Nobel per la fisica 1906). Dopo aver scoperto l’esistenza dell’elettrone egli propose un modello conosciuto come modello atomico a panettoneplum Pudding model”). Egli riteneva che l’atomo, elettricamente neutro, fosse costituito da una sfera carica positivamente all’interno della quale si trovavano gli elettroni, disposti come l’uvetta in un panettone, che si muovevano con un certo grado di libertà.

L'esperimento di Rutherford

Rutherford (1871-1937, Premio Nobel per la chimica 1908) scoprì l’esistenza del nucleo atomico, sfruttando anche gli studi sulla radioattività effettuati dai coniugi Curie. Rutherford condusse un semplice esperimento: bombardò con particelle alpha una lamina d'oro, all'esterno della quale vi era un rivelatore di particelle formato da solfuro di zinco. Se l'atomo fosse stato compatto, il profilo di rilevazione sulla lamina di solfuro di zinco, avrebbe dovuto essere lineare ed uniforme, tuttavia Thomson visualizzò un profilo non uniforme, segno che parte degli elettroni era deviato da quello che, in realtà, è il nucleo. Una piccola parte, invece, rimbalza verso l'emettitore poiché impatta con lo stesso nucleo. Rutherford propose così un nuovo modello detto modello atomico planetario. Secondo tale modello l’atomo era costituito da un nucleo centrale, contenente i protoni e dotato di carica positiva, e da un numero equivalente di elettroni, carichi negativamente, che si muovevano attorno al nucleo seguendo orbite circolari, come i pianeti attorno al Sole.

Il modello di Rutherford tuttavia non venne inizialmente accettato dalla comunità scientifica in quanto non era in accordo con le leggi della fisica classica note all’epoca. Gli elettroni carichi negativamente infatti sarebbero dovuti precipitare sul nucleo carico positivamente, emettendo energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche man mano che la loro orbita si riduceva. In realtà, ciò non avviene altrimenti non esisterebbe la materia e l’intero Universo.

LA DOPPIA NATURA DELLA LUCE

Quello che sappiamo sugli atomi viene dall’analisi della luce emessa o assorbita dalle sostanze.

Le ipotesi sulla natura della luce fanno riferimento a due modelli diversi:

·         quello ondulatorio: Christian Huygens suggerì che la luce è formata da onde e quindi si propaga come le onde che si formano in uno stagno dopo che vi si getta un sasso. James Clerk Maxwell propose una teoria in cui la luce era descritta come un fenomeno ondulatorio;

·         quello Corpuscolare legato allo studio della radiazione effettuato da Albert Einstein sull'effetto fotoelettrico.

Max Planck studiò la luce e il calore liberato da un corpo caldo e ipotizzò che la luce fosse formata da discreti fasci di energia, chiamati quanti. La quantità di energia di ciascun quanto dipendeva dal colore della luce. L’energia di un quanto di luce blu è maggiore di quella di un quanto di luce rossa. Questa teoria è conosciuta come teoria dei quanti.

La natura delle onde con cui si propaga la luce venne spiegata da Maxwell: la luce è un particolare tipo di onda elettromagnetica (come i raggi X, le onde radio, le microonde, i raggi UV). Le caratteristiche che distinguono le onde l’una dall’altra sono:

  • ·         la frequenza (lettera greca NI ν) che si misura in hertz (Hz)
  • ·         l’ampiezza

·         la lunghezza d’onda (lettera greca lambda λ), la distanza dopo la quale un’onda si riproduce uguale a se stessa, e si misura in nanometri (nm) o in angstrom.

Frequenza e lunghezza d’onda sono grandezze inversamente proporzionali. L’insieme delle onde elettromagnetiche costituisce lo spettro elettromagnetico: lo spettro del visibile è un insieme continuo di colori, dal rosso (λ = 700 nm) al violetto (λ = 400 nm). A ogni colore corrisponde una determinata frequenza, e l’insieme di tutte le radiazioni visibili appare ai nostri occhi come luce bianca.

La relazione che lega le tre grandezze della radiazione elettromagnetica è:

c = λ • ν

La velocità c con cui viaggiano le onde nel vuoto è detta velocità della luce ed è pari a 300 000 km/s.

La prova più evidente della natura ondulatoria della luce è legata al fenomeno della diffrazione: se un fascio di luce giunge su una fenditura molto piccola, il fascio non si propaga in linea retta ma si allarga formando:

·         zone chiare di interferenza positiva, in cui le onde in fase fra loro si rinforzano alimentando la luminosità;

·         zone scure di interferenza negativa, in cui onde in opposizione di fase annullano le rispettive ampiezze, facendo scomparire la luminosità.

Quando la luce interagisce con la materia, però, emerge la sua natura corpuscolare. Per esempio, proiettando un fascio di luce su una lastra di zinco, possiamo provocare l’espulsione di elettroni dalla superficie del metallo: l’effetto fotoelettrico misura il numero di elettroni emessi in un secondo e la velocità di emissione. Utilizzando una radiazione più intensa, aumenta il numero di elettroni emessi ma non la loro velocità. Utilizzando una radiazione di frequenza maggiore, aumenta la velocità di emissione degli elettroni.

Tale comportamento si spiega pensando ai raggi di luce come insiemi di quanti di energia (fotoni), tanto più numerosi quanto più intenso è il raggio, e tanto più grandi quanto più alta è la frequenza del raggio. Affinché gli elettroni possano venire emessi dal metallo, devono acquisire l’energia necessaria a vincere la forza attrattiva che li lega al metallo stesso: una parte dell’energia ricevuta è utilizzata per allontanarsi dal metallo, la parte restante per acquisire velocità.

Tutte le radiazioni elettromagnetiche sono composte di fotoni capaci di cedere la loro energia agli elettroni con cui interagiscono. Questo comportamento è espresso dalla relazione di Planck-Einstein:

E = h • ν

Dove:

  • ·         E è l’energia del fotone;
  • ·         ν la frequenza della radiazione;
  • ·          h la costante di Planck = 6,63 x 10-34 J s. Essa indica la natura discontinua dell’energia.

Gli studi effettuati da Planck e da Einstein permisero di capire che la luce presenta entrambi una duplice natura della luce.

Se facciamo passare un fascio di luce bianca attraverso un prisma di vetro, il fascio viene suddiviso in tanti fasci di colore diverso che si susseguono senza discontinuità: il cosiddetto spettro a righe continuo. Tutti i solidi e i liquidi emettono luce che presenta uno spettro continuo.  Se analizziamo la luce emessa dai gas rarefatti sottoposti a scariche elettriche, otteniamo uno spettro a righe discontinuo, un insieme di righe colorate distanti le une dalle altre. Tale spettro è diverso per ogni elemento chimico. Le righe dello spettro sono dette righe di emissione.

L’emissione avviene a seguito dell’energia che la scarica elettrica trasferisce agli atomi costituenti i gas. Gli atomi restituiscono quasi interamente questo surplus di energia sotto forma di luce.  Se si fa passare luce bianca attraverso un gas e si analizza il fascio che emerge, si individuano infatti righe meno brillanti a cui si dà il nome di righe di assorbimento. Gli atomi del gas assorbono radiazioni di una frequenza ben determinata: al variare del gas, varia la frequenza delle radiazioni assorbite, la quale è la stessa delle righe di emissione.

Le righe di assorbimento e emissione consentono quindi di riconoscere un elemento chimico.

Gli atomi, quindi, possono assorbire o emettere soltanto certi fotoni, associati a precise frequenze caratteristiche di quel tipo di atomo.

L’atomo di Bohr

Il dilemma fu superato nel 1913 quando Bohr (1885-1962, Premio Nobel per la fisica 1922) propose il modello atomico quantistico, utilizzando le ricerche sulla fisica quantistica di Max Planck (1858-1947, Premio Nobel per la fisica 1918) e gli esperimenti sull’effetto fotoelettrico di Albert Einstein (1879-1955, premio Nobel per la fisica nel 1921) e gli spettri di emissione per l’atomo di idrogeno di Rydberg (1854-1919). Bohr propose due postulati:

a.       Condizione dello stato stazionario: gli elettroni che si trovano attorno a un atomo possono avere solo valori specifici di energia definiti livelli energetici o orbite. Finché l’elettrone rimane all’interno di queste orbite esso può continuare a ruotare attorno al nucleo senza emettere energia elettromagnetica.

b.       Condizione di frequenza: l’elettrone può passare da un livello energetico a un altro solamente emettendo o assorbendo una quantità definita di energia, uguale alla differenza energetica tra le orbite coinvolte nel trasferimento. Lo scambio di energia avviene attraverso l’assorbimento o l’emissione di fotoni.

Bohr ipotizzò che, se un elettrone possiede un valore di momento angolare (mvr) corrispondente a un multiplo intero positivo (n) di h/2π (con h = costante di Planck), allora l’elettrone appartiene a un’orbita stazionaria, per cui non cede energia durante il suo moto di rotazione attorno al nucleo.

Il numero intero positivo (n) è chiamato numero quantico principale ed è direttamente proporzionale all’energia dell’elettrone. Maggiore è n, maggiore è l’energia dell’elettrone. Gli elettroni a maggior energia sono quelli con n maggiore e sono quindi quelli più lontani dal nucleo.

LA DOPPIA NATURA DELL’ELETTRONE E LA MECCANICA QUANTISTICA

Louis de Boglie ipotizzò che il comportamento ambivalente della luce non fosse un’anomalia, ma una proprietà caratteristica di qualsiasi particella. Associò quindi a ogni particella in movimento un’onda, che chiamò onda di materia (o onda di de Broglie).

La meccanica quantistica descrive il comportamento di elettroni, fotoni e altre particelle microscopiche, basandosi su leggi statistiche (non sulla meccanica classica).

Principio di indeterminazione di Heisenberg e concetto di orbitale

Il modello atomico di Bohr, pur essendo in accordo con gli esperimenti di Rydberg, risulta verificato solo per l’atomo di idrogeno e non è applicabile ad atomi poli-elettronici.  Heisenberg (1901-1976, Premio Nobel per la fisica 1932) e Schrodinger (1887-1961, Premio Nobel per la fisica 1933) svilupparono il modello atomico di Schrodinger.

Il Principio di indeterminazione di Heisenberg afferma che: “è impossibile conoscere contemporaneamente sia la posizione sia la velocità degli elettroni in un atomo, ed è quindi impossibile descrivere delle orbite precise lungo le quali l’elettrone può muoversi”. È possibile solo calcolare la probabilità di trovare un elettrone in una certa regione di spazio.

Unendo il principio di indeterminazione di Heisenberg e gli studi di De Broglie (1892-1987) sul dualismo onda-corpuscolo, Erwin Schrodinger formulò un nuovo modello atomico basato sugli orbitali atomici.

L’orbitale atomico è definito tramite la funzione d’onda (indicata con la lettera greca “psi”, ψ) che descrive il comportamento di un elettrone in un atomo ed è corrisponde alla regione di spazio in cui la probabilità di trovare l’elettrone è superiore al 90% (la densità di probabilità di trovare l’elettrone è definita dal quadrato della funzione “psi”, ψ2).

Gli orbitali vengono graficamente rappresentati da superfici che delimitano una regione di spazio all’interno della quale è massima la probabilità di trovare l’elettrone.

La funzione d’onda ψ “psi” ed i numeri quantici

Ad ogni funzione d’onda ψ, e quindi a ogni orbitale atomico, sono associati tre numeri quantici.

Il numero quantico principale (n) che identifica il livello energetico dell’orbitale. Esso può assumere esclusivamente valori interi positivi (1, 2, 3, ecc.). Al crescere di “n” cresce l’energia associata all’orbitale descritto e la sua ampiezza. Maggiore è l’estensione dell’orbitale rispetto al nucleo, maggiore è l’energia, cioè gli elettroni con “n” elevato hanno energia più elevata, per cui sono particolarmente reattivi.

Il numero quantico secondario (l) definisce la forma dell’orbitale e identifica il sottolivello. All’interno di uno stesso livello (identificato da “n”) avremo quindi più sottolivelli descritti da “l”, aventi forma ed energia proprie.

“l” può assumere valori compresi tra 0 e n − 1

Ad esempio, quando:

·         n = 1 allora l = 0, per cui il primo livello energetico è associato a un solo sottolivello (l = 0).

·         Nel secondo livello energetico (n = 2) avremo due sottolivelli energetici (l = 0 e l = 1)

·         nel terzo livello energetico (n = 3) avremo tre sottolivelli (l = 0, l = 1 ed l = 2) ecc.

Ogni sottolivello viene indicato con una lettera:

  • ·         l = 0 corrisponde al sottolivello “s” (sharp);
  • ·         l = 1 corrisponde al sottolivello “p” (principal);
  • ·         l = 2 corrisponde al sottolivello “d” (diffuse);
  • ·         l = 3 corrisponde al sottolivello “f” (fundamental).

Gli orbitali di un certo sottolivello (es. px, py e pz) differiscono tra loro soltanto per l’orientazione spaziale e non per la forma né per l’energia.

Il numero quantico magnetico (o terziario) (m o ml) specifica in quale orbitale, nell’ambito del sottolivello, si trova l’elettrone. “ml” ci dice quanti orbitali con la stessa energia e con la stessa forma (stessa “n” e stessa “l”), ma con orientazione spaziale diversa, sono presenti in un certo sottolivello. “m” può assumere solo valori interi compresi tra - l e + l, incluso lo zero. Ad esempio:

·         se l = 1 (sottolivello p), “m” potrà assumere i valori −1, 0, +1, a cui corrispondono tre orbitali con tre orientazioni spaziali: px, py e pz.

·          Quando l = 2 (sottolivello d), m potrà assumere i valori −2, −1, 0, +1, +2, a cui corrispondono cinque orbitali con cinque orientazioni spaziali: dxy, dxz, dyz, d2x2−y2 e dz2, ecc.

Essendo il sottolivello “s” (l = 0) descritto da un solo orbitale di forma sferica, è possibile una sola orientazione spaziale e di conseguenza esiste un solo valore accettabile di numero quantico magnetico (“m” = 0).

Invece, al sottolivello “p” (l = 1) corrispondono 3 possibili “m” (−1, 0, +1), ovvero 3 possibili orientazioni dell’orbitale nello spazio.

Al sottolivello “d” (l = 2) corrispondono 5 possibili “m” (−2, −1, 0, 1, 2), ovvero 5 possibili orientazioni spaziali dell’orbitale.

Al sottolivello “f” (l = 3) corrispondono 7 possibili “m” (−3, −2, −1, 0, 1, 2, 3), ovvero 7 possibili orientazioni spaziali consentite.

Orbitali con stesso “l” ed “n” ma con “m” presentano la stessa energia.

Vi è poi un quarto numero che vale solo per l’elettrone, non per l’orbitale: il numero quantico di spin (o numero quantico magnetico di spin) (ms) è associato al movimento rotazionale (spin) che un elettrone assume all’interno di un orbitale. Se consideriamo l’elettrone come una sfera carica rotante attorno al proprio asse, allora è necessario specificare se la rotazione dell’elettrone avviene in senso “orario” o “antiorario”. Il numero quantico di spin “ms” può quindi assumere solo due valori, indicati con +1/2 e −1/2.


Configurazioni elettroniche e regole di riempimento degli orbitali Atomici

Per descrivere la distribuzione degli elettroni fra i vari sottolivelli, cioè fra i vari tipi di orbitali, si utilizza una notazione internazionale denominata configurazione Elettronica. Essa è indicata dalla successione del numero quantico principale (n), dal Numero quantico secondario (l) espresso dalla lettera corrispondente (s, p, d, f), e dal Numero di elettroni presenti nell’orbitale indicati come esponente.

Per determinare l’ordine di riempimento degli orbitali atomici è fondamentale considerare i seguenti principi:

a.       Principio di Aufbau (di minima energia): ogni elettrone occupa preferenzialmente l’orbitale disponibile a più bassa energia, ovvero quello con numero Quantico n più basso. Nel caso di orbitali con lo stesso valore di n, si riempie Preferenzialmente l’orbitale con l più basso.

b.       Principio di Hund (o della massima molteplicità di spin): in presenza di Orbitali degeneri, ovvero di orbitali con lo stesso valore di energia, gli elettroni si distribuiscono sul maggior numero di orbitali possibile e presentano spin paralleli.

c.       Principio di esclusione di Pauli: in ogni orbitale possono trovarsi al massimo due elettroni che presentano spin antiparallelo (+1/2 e −1/2): “in un atomo non esistono due elettroni descritti dalla stessa sequenza dei quattro Numeri quantici (n, l, ml, ms)”. Ogni singolo elettrone in un atomo può essere quindi descritto in modo univoco dalla quaterna di numeri quantici.

Gli orbitali atomici vengono rappresentati da dei quadrati all’interno dei quali si pongono gli elettroni rappresentati da delle frecce, la cui orientazione indica lo stato di Spin dell’elettrone (+ ½ o – ½). Ogni orbitale atomico può ospitare al massimo Due elettroni con spin opposto.

La configurazione elettronica corrisponde allo stato elettronico a più bassa energia noto come stato fondamentale.

Fornendo energia al sistema (riscaldando o irradiando il campione) la distribuzione elettronica cambia in quanto gli elettroni eccitati tendono ad occupare orbitali a più alta energia; l’atomo si trova quindi in uno stato eccitato e diventa meno stabile ovvero più reattivo.

Siccome la sequenza dei livelli energetici non dipende solo da n ma anche da l, è fondamentale ricordare che orbitali dello stesso Strato (stesso “n”) ma con forma diversa (“l” diverso) presentano energie diverse, ovvero NON sono degeneri. Per identificare la configurazione elettronica dello stato fondamentale è necessario quindi considerare anche il numero quantico “l”.



Curiosità:

Marie Curie fu esposta a livelli così alti di radioattività 100 anni fa che i suoi quaderni, i suoi scritti e persino il suo corpo rimangono pericolosamente radioattivi e continueranno a esserlo per altri 1.500 anni. La fonte della radiazione è il radio e i suoi isotopi radioattivi, che lei portava in tasca all'interno di provette.

Gli isotopi del radio hanno un'emivita di 1.600 anni! Marie Curie è considerata la madre della fisica moderna e fu non solo la prima donna ma anche la prima persona a vincere due Premi Nobel, in fisica e chimica.

Curie riposa in una bara foderata con 5,4 cm di piombo per proteggere i visitatori.


 

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