L'ATOMO
La
struttura dell’atomo
L’atomo non è
una particella indivisibile e compatta, ma è costituito da tre tipi di
particelle subatomiche dotate di massa e dette: protoni, elettroni e
neutroni. L’atomo è costituito da un nucleo centrale formato dai nucleoni
(protoni e neutroni) pesanti e da una nube circostante attorno al nucleo in cui
orbitano particelle molto più leggere dette elettroni. I Protoni sono carichi
positivamente, i neutroni sono elettricamente neutri, mentre gli elettroni sono
carichi negativamente. I protoni e i neutroni insieme costituiscono la totalità
della massa atomica. Gli elettroni invece hanno massa 1837 volte
inferiore a quella dei nucleoni.
L'esperimento
di Rutherford
Il modello di
Rutherford tuttavia non venne inizialmente accettato dalla comunità scientifica
in quanto non era in accordo con le leggi della fisica classica note all’epoca.
Gli elettroni carichi negativamente infatti sarebbero dovuti precipitare sul
nucleo carico positivamente, emettendo energia sotto forma di radiazioni
elettromagnetiche man mano che la loro orbita si riduceva. In realtà, ciò non
avviene altrimenti non esisterebbe la materia e l’intero Universo.
LA DOPPIA
NATURA DELLA LUCE
Quello che
sappiamo sugli atomi viene dall’analisi della luce emessa o assorbita dalle
sostanze.
Le ipotesi
sulla natura della luce fanno riferimento a due modelli diversi:
·
quello ondulatorio: Christian Huygens suggerì che la
luce è formata da onde e quindi si propaga come le onde che si formano
in uno stagno dopo che vi si getta un sasso. James Clerk Maxwell propose
una teoria in cui la luce era descritta come un fenomeno ondulatorio;
·
quello Corpuscolare legato allo studio della radiazione effettuato
da Albert Einstein sull'effetto fotoelettrico.
Max Planck studiò la
luce e il calore liberato da un corpo caldo e ipotizzò che la luce fosse
formata da discreti fasci di energia, chiamati quanti. La quantità di
energia di ciascun quanto dipendeva dal colore della luce. L’energia di un
quanto di luce blu è maggiore di quella di un quanto di luce rossa. Questa
teoria è conosciuta come teoria dei quanti.
La natura
delle onde con cui si propaga la luce venne spiegata da Maxwell: la
luce è un particolare tipo di onda elettromagnetica (come i raggi X, le onde
radio, le microonde, i raggi UV). Le caratteristiche che distinguono le onde
l’una dall’altra sono:
- ·
la frequenza (lettera greca NI ν) che si misura in hertz
(Hz)
- ·
l’ampiezza
·
la lunghezza d’onda (lettera greca lambda λ), la
distanza dopo la quale un’onda si riproduce uguale a se stessa, e si misura in nanometri
(nm) o in angstrom.
Frequenza e
lunghezza d’onda sono grandezze inversamente proporzionali. L’insieme delle
onde elettromagnetiche costituisce lo spettro elettromagnetico: lo spettro
del visibile è un insieme continuo di colori, dal rosso (λ = 700 nm) al
violetto (λ = 400 nm). A ogni colore corrisponde una determinata frequenza, e
l’insieme di tutte le radiazioni visibili appare ai nostri occhi come luce
bianca.
La relazione
che lega le tre grandezze della radiazione elettromagnetica è:
c = λ • ν
La velocità c
con cui viaggiano le onde nel vuoto è detta velocità della luce ed è pari a 300
000 km/s.
La prova più
evidente della natura ondulatoria della luce è legata al fenomeno della diffrazione:
se un fascio di luce giunge su una fenditura molto piccola, il fascio non si
propaga in linea retta ma si allarga formando:
·
zone chiare di interferenza positiva, in cui le onde in fase fra loro si
rinforzano alimentando la luminosità;
·
zone scure di interferenza negativa, in cui onde in opposizione di fase
annullano le rispettive ampiezze, facendo scomparire la luminosità.
Quando la
luce interagisce con la materia, però, emerge la sua natura corpuscolare.
Per esempio, proiettando un fascio di luce su una lastra di zinco, possiamo
provocare l’espulsione di elettroni dalla superficie del metallo: l’effetto
fotoelettrico misura il numero di elettroni emessi in un secondo e la
velocità di emissione. Utilizzando una radiazione più intensa, aumenta il
numero di elettroni emessi ma non la loro velocità. Utilizzando una radiazione
di frequenza maggiore, aumenta la velocità di emissione degli elettroni.
Tale
comportamento si spiega pensando ai raggi di luce come insiemi di quanti di
energia (fotoni), tanto più numerosi quanto più intenso è il raggio, e
tanto più grandi quanto più alta è la frequenza del raggio. Affinché gli
elettroni possano venire emessi dal metallo, devono acquisire l’energia
necessaria a vincere la forza attrattiva che li lega al metallo stesso: una
parte dell’energia ricevuta è utilizzata per allontanarsi dal metallo, la parte
restante per acquisire velocità.
Tutte le
radiazioni elettromagnetiche sono composte di fotoni capaci di cedere la loro
energia agli elettroni con cui interagiscono. Questo comportamento è espresso dalla
relazione di Planck-Einstein:
E = h • ν
Dove:
- ·
E è l’energia del fotone;
- ·
ν la frequenza della radiazione;
- ·
h la costante di Planck =
6,63 x 10-34 J s. Essa indica la natura discontinua dell’energia.
Se facciamo
passare un fascio di luce bianca attraverso un prisma di vetro,
il fascio viene suddiviso in tanti fasci di colore diverso che si
susseguono senza discontinuità: il cosiddetto spettro a righe continuo. Tutti
i solidi e i liquidi emettono luce che presenta uno spettro continuo. Se analizziamo la luce
emessa dai gas rarefatti sottoposti a scariche elettriche, otteniamo uno
spettro a righe discontinuo, un insieme di righe colorate distanti le une
dalle altre. Tale spettro è diverso per ogni elemento chimico. Le righe
dello spettro sono dette righe di emissione.
L’emissione
avviene a seguito dell’energia che la scarica elettrica trasferisce agli atomi costituenti
i gas. Gli atomi restituiscono quasi interamente questo surplus di
energia sotto forma di luce. Se si fa
passare luce bianca attraverso un gas e si analizza il fascio che emerge, si
individuano infatti righe meno brillanti a cui si dà il nome di righe di
assorbimento. Gli atomi del gas assorbono radiazioni di una frequenza ben
determinata: al variare del gas, varia la frequenza delle radiazioni assorbite,
la quale è la stessa delle righe di emissione.
Le righe di
assorbimento e emissione consentono quindi di riconoscere un elemento chimico.
Gli atomi,
quindi, possono assorbire o emettere soltanto certi fotoni, associati a
precise frequenze caratteristiche di quel tipo di atomo.
L’atomo di
Bohr
Il dilemma fu
superato nel 1913 quando Bohr (1885-1962, Premio Nobel per la fisica
1922) propose il modello atomico quantistico, utilizzando le
ricerche sulla fisica quantistica di Max Planck (1858-1947, Premio Nobel
per la fisica 1918) e gli esperimenti sull’effetto fotoelettrico di Albert
Einstein (1879-1955, premio Nobel per la fisica nel 1921) e gli spettri di
emissione per l’atomo di idrogeno di Rydberg (1854-1919). Bohr propose due postulati:
a.
Condizione dello stato stazionario: gli elettroni che si trovano
attorno a un atomo possono avere solo valori specifici di energia definiti
livelli energetici o orbite. Finché l’elettrone rimane all’interno di
queste orbite esso può continuare a ruotare attorno al nucleo senza emettere
energia elettromagnetica.
b.
Condizione di frequenza: l’elettrone può passare da un livello
energetico a un altro solamente emettendo o assorbendo una quantità definita di
energia, uguale alla differenza energetica tra le orbite coinvolte nel
trasferimento. Lo scambio di energia avviene attraverso l’assorbimento o
l’emissione di fotoni.
Bohr ipotizzò
che, se un elettrone possiede un valore di momento angolare (mvr)
corrispondente a un multiplo intero positivo (n) di h/2π (con h = costante
di Planck), allora l’elettrone appartiene a un’orbita stazionaria, per cui
non cede energia durante il suo moto di rotazione attorno al nucleo.
Il numero
intero positivo (n) è chiamato numero quantico principale ed è direttamente
proporzionale all’energia dell’elettrone. Maggiore è n, maggiore è l’energia
dell’elettrone. Gli elettroni a maggior energia sono quelli con n maggiore e
sono quindi quelli più lontani dal nucleo.
LA DOPPIA
NATURA DELL’ELETTRONE E LA MECCANICA QUANTISTICA
Louis de
Boglie ipotizzò che il comportamento ambivalente della luce non fosse
un’anomalia, ma una proprietà caratteristica di qualsiasi particella. Associò
quindi a ogni particella in movimento un’onda, che chiamò onda di materia (o onda
di de Broglie).
La meccanica
quantistica descrive il comportamento di elettroni, fotoni e altre particelle
microscopiche, basandosi su leggi statistiche (non sulla meccanica classica).
Principio di
indeterminazione di Heisenberg e concetto di orbitale
Il modello
atomico di Bohr, pur essendo in accordo con gli esperimenti di Rydberg, risulta
verificato solo per l’atomo di idrogeno e non è applicabile ad atomi
poli-elettronici. Heisenberg (1901-1976,
Premio Nobel per la fisica 1932) e Schrodinger (1887-1961, Premio Nobel per la
fisica 1933) svilupparono il modello atomico di Schrodinger.
Il Principio
di indeterminazione di Heisenberg afferma che: “è impossibile conoscere contemporaneamente
sia la posizione sia la velocità degli elettroni in un atomo, ed è quindi
impossibile descrivere delle orbite precise lungo le quali l’elettrone può
muoversi”. È possibile solo calcolare la probabilità di trovare un
elettrone in una certa regione di spazio.
Unendo il
principio di indeterminazione di Heisenberg e gli studi di De Broglie
(1892-1987) sul dualismo onda-corpuscolo, Erwin Schrodinger formulò un nuovo
modello atomico basato sugli orbitali atomici.
L’orbitale
atomico è definito tramite la funzione d’onda (indicata con la
lettera greca “psi”, ψ) che descrive il comportamento di un elettrone in un
atomo ed è corrisponde alla regione di spazio in cui la probabilità di
trovare l’elettrone è superiore al 90% (la densità di probabilità di
trovare l’elettrone è definita dal quadrato della funzione “psi”, ψ2).
Gli orbitali
vengono graficamente rappresentati da superfici che delimitano una regione di
spazio all’interno della quale è massima la probabilità di trovare l’elettrone.
La funzione
d’onda ψ “psi” ed i numeri quantici
Ad ogni
funzione d’onda ψ, e quindi a ogni orbitale atomico, sono associati tre numeri
quantici.
Il numero
quantico principale (n) che identifica il livello energetico dell’orbitale.
Esso può assumere esclusivamente valori interi positivi (1, 2, 3, ecc.). Al
crescere di “n” cresce l’energia associata all’orbitale descritto e la sua ampiezza.
Maggiore è l’estensione dell’orbitale rispetto al nucleo, maggiore è l’energia,
cioè gli elettroni con “n” elevato hanno energia più elevata, per cui sono
particolarmente reattivi.
Il numero
quantico secondario (l) definisce la forma dell’orbitale e identifica il
sottolivello. All’interno di uno stesso livello (identificato da “n”) avremo quindi
più sottolivelli descritti da “l”, aventi forma ed energia proprie.
“l” può assumere valori compresi tra 0 e n − 1.
Ad esempio, quando:
·
n = 1 allora l = 0, per cui il primo livello energetico è associato
a un solo sottolivello (l = 0).
·
Nel secondo livello energetico (n = 2) avremo due sottolivelli
energetici (l = 0 e l = 1)
·
nel terzo livello energetico (n = 3) avremo tre sottolivelli (l =
0, l = 1 ed l = 2) ecc.
Ogni sottolivello
viene indicato con una lettera:
- ·
l = 0 corrisponde al sottolivello “s” (sharp);
- ·
l = 1 corrisponde al sottolivello “p” (principal);
- ·
l = 2 corrisponde al sottolivello “d” (diffuse);
- ·
l = 3 corrisponde al sottolivello “f” (fundamental).
Gli orbitali
di un certo sottolivello (es. px, py e pz) differiscono tra loro soltanto per l’orientazione
spaziale e non per la forma né per l’energia.
Il numero
quantico magnetico (o terziario) (m o ml) specifica in quale orbitale,
nell’ambito del sottolivello, si trova l’elettrone. “ml” ci dice quanti orbitali
con la stessa energia e con la stessa forma (stessa “n” e stessa “l”), ma con
orientazione spaziale diversa, sono presenti in un certo sottolivello. “m” può
assumere solo valori interi compresi tra - l e + l, incluso lo zero. Ad esempio:
·
se l = 1 (sottolivello p), “m” potrà assumere i valori −1, 0, +1,
a cui corrispondono tre orbitali con tre orientazioni spaziali: px, py e pz.
·
Quando l = 2 (sottolivello d),
m potrà assumere i valori −2, −1, 0, +1, +2, a cui corrispondono cinque
orbitali con cinque orientazioni spaziali: dxy, dxz, dyz, d2x2−y2 e dz2, ecc.
Essendo il
sottolivello “s” (l = 0) descritto da un solo orbitale di forma sferica, è
possibile una sola orientazione spaziale e di conseguenza esiste un solo valore
accettabile di numero quantico magnetico (“m” = 0).
Invece, al
sottolivello “p” (l = 1) corrispondono 3 possibili “m” (−1, 0, +1), ovvero 3
possibili orientazioni dell’orbitale nello spazio.
Al
sottolivello “d” (l = 2) corrispondono 5 possibili “m” (−2, −1, 0, 1, 2),
ovvero 5 possibili orientazioni spaziali dell’orbitale.
Al
sottolivello “f” (l = 3) corrispondono 7 possibili “m” (−3, −2, −1, 0, 1, 2,
3), ovvero 7 possibili orientazioni spaziali consentite.
Orbitali con
stesso “l” ed “n” ma con “m” presentano la stessa energia.
Vi è poi un
quarto numero che vale solo per l’elettrone, non per l’orbitale: il numero
quantico di spin (o numero quantico magnetico di spin) (ms) è associato al
movimento rotazionale (spin) che un elettrone assume all’interno di un
orbitale. Se consideriamo l’elettrone come una sfera carica rotante attorno al
proprio asse, allora è necessario specificare se la rotazione dell’elettrone
avviene in senso “orario” o “antiorario”. Il numero quantico di
spin “ms” può quindi assumere solo due valori, indicati con +1/2 e −1/2.
Configurazioni
elettroniche e regole di riempimento degli orbitali Atomici
Per
descrivere la distribuzione degli elettroni fra i vari sottolivelli, cioè fra i
vari tipi di orbitali, si utilizza una notazione internazionale denominata configurazione
Elettronica. Essa è indicata dalla successione del numero quantico
principale (n), dal Numero quantico secondario (l) espresso dalla lettera
corrispondente (s, p, d, f), e dal Numero di elettroni presenti nell’orbitale
indicati come esponente.
Per
determinare l’ordine di riempimento degli orbitali atomici è fondamentale considerare
i seguenti principi:
a.
Principio di Aufbau (di minima energia): ogni elettrone occupa preferenzialmente
l’orbitale disponibile a più bassa energia, ovvero quello con numero Quantico n
più basso. Nel caso di orbitali con lo stesso valore di n, si riempie Preferenzialmente
l’orbitale con l più basso.
b.
Principio di Hund (o della massima molteplicità di spin): in presenza di Orbitali
degeneri, ovvero di orbitali con lo stesso valore di energia, gli elettroni si
distribuiscono sul maggior numero di orbitali possibile e presentano spin
paralleli.
c.
Principio di esclusione di Pauli: in ogni orbitale possono
trovarsi al massimo due elettroni che presentano spin antiparallelo
(+1/2 e −1/2): “in un atomo non esistono due elettroni descritti dalla
stessa sequenza dei quattro Numeri quantici (n, l, ml, ms)”. Ogni singolo
elettrone in un atomo può essere quindi descritto in modo univoco dalla
quaterna di numeri quantici.
Gli orbitali
atomici vengono rappresentati da dei quadrati all’interno dei quali
si pongono gli elettroni rappresentati da delle frecce, la cui orientazione
indica lo stato di Spin dell’elettrone (+ ½ o – ½). Ogni orbitale atomico può ospitare
al massimo Due elettroni con spin opposto.
La
configurazione elettronica corrisponde allo stato elettronico a più bassa
energia noto come stato fondamentale.
Fornendo
energia al sistema (riscaldando o irradiando il campione) la distribuzione
elettronica cambia in quanto gli elettroni eccitati tendono ad occupare
orbitali a più alta energia; l’atomo si trova quindi in uno stato eccitato
e diventa meno stabile ovvero più reattivo.
Siccome la
sequenza dei livelli energetici non dipende solo da n ma anche da l, è fondamentale
ricordare che orbitali dello stesso Strato (stesso “n”) ma con forma diversa
(“l” diverso) presentano energie diverse, ovvero NON sono degeneri. Per
identificare la configurazione elettronica dello stato fondamentale è
necessario quindi considerare anche il numero quantico “l”.
Curiosità:
Marie Curie fu esposta a livelli così alti di radioattività 100 anni fa che i suoi quaderni, i suoi scritti e persino il suo corpo rimangono pericolosamente radioattivi e continueranno a esserlo per altri 1.500 anni. La fonte della radiazione è il radio e i suoi isotopi radioattivi, che lei portava in tasca all'interno di provette.
Gli isotopi del radio hanno un'emivita di 1.600 anni! Marie Curie è considerata la madre della fisica moderna e fu non solo la prima donna ma anche la prima persona a vincere due Premi Nobel, in fisica e chimica.
Curie riposa in una bara foderata con 5,4 cm di piombo per proteggere i visitatori.
Commenti
Posta un commento