«Ho un difetto, o forse due. Ho una mente che pensa troppo e un cuore che sente tutto.» Fin da bambino Pascoli aveva conosciuto il dolore: suo padre era morto davanti ai suoi occhi, e non aveva potuto fare nulla per salvarlo.
Si dice che dalla sofferenza siamo nate le anime più forti. E lui lo sapeva bene. Conobbe la povertà, la solitudine, l’incomprensione.
Troppo sensibile, gli dicevano tutti. Troppo fragile. Il ricordo del padre continuava a tormentarlo. Perché il dolore più grande non è la bocca di chi ti ferisce, ma il vuoto di chi scompare. E più passavano gli anni, più la sua tristezza aumentava. E poi un giorno mentre stava camminando da solo, sente nell’aria «un breve gre gre di ranelle».
E in quel momento gli accadde qualcosa: «di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell’aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell’umida sera.» Ecco, questo è uno dei momenti più toccanti e potenti di tutta la letteratura! Il momento in cui Pascoli alza gli occhi verso il cielo e guarda. Semplicemente guarda: un uccellino che sta tornando a casa nel suo nido. Una rondine. Non è nulla: paura e piume. «E tuttavia, nascosta tra i rami, può far sì che canti un albero.»
Alla vista di quell’uccellino la tristezza lo abbandona. E di colpo «la nube nel giorno più nera, fu quella che vedo più rosa nell’ultima sera.» Perché alle volte non è necessario dimenticare e neanche lasciar andare, ma soltanto tornare a guardare. La felicità è nelle piccole cose, ecco cosa vi sta dicendo Pascoli. Perché capì che sono le cose piccole che fanno la differenza: un abbraccio, un sorriso, un tramonto. Pascoli ha scritto oltre trecento poesie, guardando sempre lo stesso parco. A riprova di quanto può essere bella la stessa cosa ogni giorno, quando la guardi con amore.
Guendalina Middei (➡️ Tratto da
«Sopravvivere al lunedì mattina con L».
Potete leggerne un estratto qui: https://www.amazon.it/Sopravvivere-al-luned%C3%AC-mattina-Lolita/dp/8807174774
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