La novella di Gige e Candaule [Erodoto, Storie, 1, 8-12]


Erodoto - Gige e Candaule (Hdt. I 8-12)

Οὗτος δὴ ὦν ὁ Κανδαύλης ἠράσθη τῆς ἑωυτοῦ γυναικός, ἐρασθεὶς δὲ ἐνόμιζέ οἱ εἶναι γυναῖκα πολλὸν πασέων καλλίστην. Ὥστε δὲ ταῦτα νομίζων, ἦν γάρ οἱ τῶν αἰχμοφόρων Γύγης ὁ Δασκύλου ἀρεσκόμενος μάλιστα, τούτῳ τῷ Γύγῃ καὶ τὰ  σπουδαιέστερα τῶν πρηγμάτων ὑπερετίθετο ὁ Κανδαύλης καὶ δὴ καὶ τὸ εἶδος τῆς γυναικὸς ὑπερεπαινέων. Χρόνου δὲ οὐ πολλοῦ διελθόντοςχρῆν γὰρ Κανδαύλῃ γενέσθαι κακῶς, ἔλεγε πρὸς τὸν Γύγην τοιάδε· "Γύγη, οὐ γάρ σε δοκέω πείθεσθαί μοι λέγοντι περὶ τοῦ εἴδεος τῆς γυναικός (ὦτα γὰρ τυγχάνει ἀνθρώποισι ἐόντα ἀπιστότερα ὀφθαλμῶν), ποίεε ὅκως ἐκείνην θεήσεαι γυμνήν." Ὁ δὲ μέγα ἀμβώσας εἶπε· "Δέσποτα, τίνα λέγεις λόγον οὐκ ὑγιέα, κελεύων με δέσποιναν τὴν ἐμὴν θεήσασθαι γυμνήν; Ἅμα δὲ κιθῶνι ἐκ δυομένῳ συνεκδύεταικαὶ τὴν αἰδῶ γυνή. Πάλαι δὲ τὰ καλὰ ἀνθρώποισι ἐξεύρηται, ἐκ τῶν μανθάνειν δεῖ· ἐν τοῖσι ἓν τόδε ἐστίσκοπέειν τινὰ τὰ ἑωυτοῦ. Ἐγὼ δὲ πείθομαι ἐκείνην εἶναι πασέων γυναικῶν καλλίστην, καί σεο δέομαι μὴ δέεσθαι ἀνόμων." Ὁ μὲν δὴ λέγων τοιαῦτα ἀπεμάχετοἀρρωδέων μή τί οἱ ἐξ αὐτῶν γένηται κακόν. Ὁ δ' ἀμείβετο τοῖσδε· "Θάρσεε, Γύγη, καὶ μὴ φοβέο μήτε ἐμέ, ὥς σεο πειρώμενος λέγω λόγον τόνδε, μήτε γυναῖκα τὴν ἐμήν, μή τί τοι ἐξ αὐτῆς γένηται βλάβος· ἀρχὴν γὰρ ἐγὼ μηχανήσομαι οὕτω ὥστε μηδὲ μαθεῖν μιν ὀφθεῖσαν ὑπὸ σέο. Ἐγὼ γάρ σε ἐς τὸ οἴκημα ἐν τῷ κοιμώμεθα ὄπισθε τῆς ἀνοιγομένης θύρης στήσω· μετὰ δ' ἐμὲ ἐσελθόντα αὐτίκα παρέσται καὶ ἡ γυνὴ ἡ ἐμὴ ἐς κοῖτον. Κεῖται δὲ ἀγχοῦ τῆς ἐσόδου θρόνος· ἐπὶ τοῦτον τῶν ἱματίων κατὰ ἓν ἕκαστον ἐκδύνουσα θήσει καὶ κατ' ἡσυχίην πολλὴν παρέξει τοι θεήσασθαι. Ἐπεὰν δὲ ἀπὸ  τοῦ θρόνου στείχῃ ἐπὶ τὴν εὐνὴν κατὰ νώτου τεαὐτῆς γένῃ,  σοὶ μελέτω  τὸ  ἐνθεῦτεν ὅκως μή σε ὄψεται ἰόντα διὰ θυρέων. " Ὁ μὲν δή, ὡς οὐκ ἐδύνατο διαφυγεῖν, ἦν ἕτοιμος· ὁ δὲ Κανδαύλης, ἐπεὶ ἐδόκεε ὥρη τῆς κοίτης εἶναιἤγαγε τὸν Γύγην ἐς τὸ οἴκημα, καὶ μετὰ ταῦτα αὐτίκα παρῆν καὶ ἡ γυνή· ἐσελθοῦσαν δὲ καὶ τιθεῖσαν τὰ εἵματα ἐθηεῖτο ὁ Γύγης. Ὡς δὲ κατὰ νώ του ἐγένετο ἰούσης τῆς γυναικὸς ἐς τὴν κοίτην, ὑπεκδὺς ἐχώρεε ἔξω. Καὶ ἡ γυνὴ ἐπορᾷμιν ἐξιόνταΜαθοῦσα δὲ τὸ ποιηθὲν ἐκ τοῦ ἀνδρὸς οὔτε ἀνέβωσε αἰσχυνθεῖσα οὔτε ἔδοξε μαθεῖν, ἐν νόῳ ἔχουσα τείσεσθαι τὸν Κανδαύλην· παρὰ γὰρ τοῖσι Λυδοῖσι, σχεδὸν δὲ καὶ παρὰ τοῖσι ἄλλοισι βαρβάροισι, καὶ ἄνδρα ὀφθῆναι γυμνὸν ἐς αἰσχύνην μεγάλην φέρει. Τότε μὲν δὴ οὕτως οὐδὲν δηλώσασα ἡσυχίην εἶχε· ὡς δὲ ἡμέρη τάχιστα ἐγεγόνεε, τῶν οἰκετέων τοὺς μάλιστα ὥρα πιστοὺς ἐόντας ἑωυτῇ ἑτοίμους ποιησαμένηἐκάλεε τὸν Γύγην. Ὁ δὲ οὐδὲν δοκέων αὐτὴν τῶν πρηχθέντων ἐπίστασθαι ἦλθε καλεόμενος· ἐώθεε γὰρ καὶπρόσθεὅκως ἡ βασίλεια καλέοι, φοιτᾶν. Ὡς δὲ ὁ Γύγης ἀπίκετοἔλεγε ἡ γυνὴ τάδε· "Νῦν τοι δυῶν ὁδῶν παρεουσέων, Γύγη, δίδωμι αἵρεσιν, ὁκοτέρην βούλεαι τραπέσθαι· ἢ γὰρ Κανδαύλην ἀποκτείνας ἐμέ τε καὶ τὴν βασιληίην ἔχε τὴν Λυδῶν, ἢ αὐτόν σε αὐτίκα οὕτω ἀποθνῄσκειν δεῖ, ὡς ἂν μὴ πάντα πειθόμενος Κανδαύλῃ τοῦ λοιποῦ ἴδῃς τὰ μή σεδεῖ. Ἀλλ' ἤτοι κεῖνόν γε τὸν ταῦτα βουλεύσαντα δεῖ ἀπόλλυσθαι ἢ σὲ τὸν ἐμὲ γυμνὴν θεησάμενον καὶ ποιήσαντα οὐ νομιζόμενα." Ὁδὲ Γύγης τέως μὲν ἀπεθώμαζε τὰ λεγόμενα, μετὰ δὲ ἱκέτευε μή μιν ἀναγκαίῃ ἐνδέεινδιακρῖναι τοιαύτην αἵρεσιν. Οὐκ ὦν δὴ ἔπειθε,ἀλλ' ὥρα ἀναγκαίην ἀληθέως προκειμένην ἢτὸν δεσπότην ἀπολλύναι ἢ αὐτὸν ὑπ' ἄλλωνἀπόλλυσθαι· αἱρέεται αὐτὸς περιεῖναι.Ἐπειρώτα δὴ λέγων τάδε· "Ἐπεί με ἀναγκάζειςδεσπότην τὸν ἐμὸν κτείνειν οὐκ ἐθέλοντα, φέρε ἀκούσωτέῳ καὶ τρόπῳ ἐπιχειρήσομεν αὐτῷ."Ἡ δὲ ὑπολαβοῦσα ἔφη·  "Ἐκ τοῦ αὐτοῦ μὲνχωρίου ἡ ὁρμὴ ἔσται ὅθεν περ καὶ ἐκεῖνος ἐμὲ ἐπεδέξατο γυμνήν, ὑπνωμένῳ δὲ ἡ ἐπιχείρησις ἔσται." Ὡς δὲ ἤρτυσαν τὴν ἐπιβουλήν, νυκτὸς γενομένης (οὐ γὰρ ἐμετίετο ὁ Γύγης,  οὐδέ οἱ ἦν ἀπαλλαγὴ οὐδεμία, ἀλλ' ἔδεε ἢ αὐτὸν ἀπολωλέναι ἢ Κανδαύλην) εἵπετο ἐς τὸν θάλαμον τῇ γυναικί. Καί μιν ἐκείνη ἐγχειρίδιονδοῦσα κατακρύπτει ὑπὸ τὴν αὐτὴν θύρην. Καὶ μετὰ ταῦτα ἀναπαυομένου Κανδαύλεω ὑπεκδύς τε καὶ ἀποκτείνας αὐτὸν ἔσχε καὶ τὴν γυναῖκα καὶ τὴν βασιληίην Γύγης· τοῦ καὶ Ἀρχίλοχος ὁ Πάριος, κατὰ τὸν αὐτὸν χρόνον γενόμενος, ἐν ἰάμβῳ τριμέτρῳ ἐπεμνήσθη.

TRADUZIONE IN ITALIANO

[1, 8] Questo Candaule, dunque, era innamorato di sua moglie; e, nell'esaltazione dell’amore, credeva di possedere la donna più bella di tutte. Convinto di ciò, dato che fra le guardie del corpo c’era un certo Gige, (figlio) di Dascilo, che godeva in modo particolare la sua simpatia, a lui faceva le sue confidenze sugli affari piú seri; e, fra l’altro, anche sulla bellezza della moglie, che esaltava oltre ogni dire. Ma era proprio destino che Candaule dovesse finire male: dopo un po’ tenne a Gige questo discorso: “O Gige, poiché ho l’impressione che tu non mi creda quando ti parlo della bellezza di mia moglie poiché gli uomini prestano meno fede a quello che odono, in confronto a quello che vedono), fa’ in modo di vederla nuda”. Ma quello, alzando grida di protesta, esclamò: “O signore, quale discorso dissennato mi vai facendo tu, che mi inciti a guardare nuda la mia signora, Insieme con la veste la donna si spoglia anche del pudore. Già da antico gli uomini hanno trovato precetti di saggezza, dai quali giova trarre ammaestramento; uno di essi è che ciascuno volga lo sguardo a ciò che è suo. Io sono convinto che essa è la più bella di tutte le donne e ti prego di non chiedermi delle cose disoneste”.
[1,9] Con tali ragioni egli tentava di schermirsi, temendo che gliene dovesse derivare qualche malanno. Ma quello replicò cosi: “Fatti animo, Gige; e non temere né di me, per paura che ti faccia questa proposta per tentarti, né di mia moglie, al pensiero che te ne possa venire del danno; poiché tutto io combinerò in modo che nemmeno s’avveda di essere da te osservata. Infatti, ti farò entrare nella stanza dove passiamo la notte e ti collocherò dietro un battente della porta che si apre; subito dopo che io sarò entrato, verrà anche mia moglie per coricarsi. Vicino alla porta di entrata c’è una sedia e su questa essa deporrà gli indumenti, a uno a uno, man mano che se li toglie di dosso e tu potrai contemplarla con tutta tranquillità. Quando, poi, dalla sedia si dirigerà verso il letto e tu ti troverai alle sue spalle, abbi cura che essa non ti veda mentre te ne andrai attraverso la porta”.
[1,10] Sicché Gige, visto che non poteva avere scampo, era disposto a ubbidire; e Candaule, quando gli parve giunta ora d’andare a dormire, lo introdusse nella stanza da letto: subito dopo ecco anche la moglie e mentre essa entrava e deponeva i suoi vestiti Gige la contemplava. Poi, quando la donna, accostandosi al letto, gli volse le spalle, di soppiatto se ne uscì; ma mentre se ne andava essa lo scorse. Pur comprendendo quello che il marito aveva combinato, non si mise, però, a strillare per la vergogna, né fece mostra di essersene accorta, ma nell'animo meditava la vendetta contro Candaule: per i Lidi, infatti, come pure, in generale, per gli altri barbari, essere visto nudo, anche per un uomo, è cosa che procura grande vergogna.
[1,11] Per il momento, dunque, senza dare a veder nulla, se ne stette così, quieta; ma non appena fu giorno, messi all’avviso quelli dei servi che vedeva esserle particolarmente devoti, fece chiamare Gige. Questi, convinto che la regina nulla sapesse di quanto era avvenuto, si presentò all'invito, poiché anche prima era solito recarsi da lei quando la regina lo chiamava. Quando, dunque, Gige arrivò, la donna gli disse: “Ora, Gige, delle due vie che ti si presentano, lascio a te scegliere quella che vuoi seguire: o, ucciso Candaule, ti prendi, insieme con me, anche il regno dei Lidi; oppure tu stesso, qui subito, devi morire, affinché, in tutto ligio a Candaule, non abbia per l'avvenire a veder più ciò che non si deve. Poiché bisogna pure che scompaia o lui che ha combinato questo tranello, o tu che mi hai vista nuda e hai fatto ciò che non è lecito”. Gige per un poco rimase sbalordito ad ascoltare ciò che gli si diceva; ma poi si mise a scongiurarla di non metterlo nella necessità di dover fare una tale scelta. Siccome, però, non riusciva a piegarla e vedeva che era assolutamente necessario o uccidere il suo signore o essere egli stesso ucciso da altri, scelse di sopravvivere. Quindi le rivolse questa domanda: “Poiché mi costringi a privare della vita il mio padrone, contro mia voglia, suvvia, che io sappia in qual modo potremo mettere le mani su di lui”. Ed essa di rimando disse: “Dal medesimo luogo partirà l'insidia donde anche egli mi ha fatto apparire nuda; lo si colpirà mentre è immerso nel sonno”.
[1,12] Quando si furono accordati sulle modalità dell'insidia, sopraggiunta la notte, Gige  (dato che non lo si lasciava libero, né vi era alcuna via di scampo, ma bisognava proprio che morisse lui o uccidesse Candaule) seguì la donna nella stanza da letto. Essa, dopo avergli messo in mano un pugnale, lo nascose dietro la stessa porta; e, più tardi, mentre Candaule riposava, Gige, sbucato fuori dal nascondiglio e uccisolo, divenne padrone della moglie di lui e del suo regno.

Commenti

Post popolari in questo blog

MARZIALE, Per la morte della piccola Eròtion

I complici di Catilina, Sallustio, 14 I seguaci di Catilina

Un comandante esorta i suoi soldati