Apostrofe al cuore

«θυμέ, θύμ᾽ ἀμηχάνοισι κήδεσιν κυκώμενε,
ἄνα δέ, δυσμενέων δ᾽ ἀλέξευ προσβαλὼν ἐναντίον
στέρνον, ἐν δοκοῖσιν ἐχθρῶν πλησίον κατασταθείς
ἀσφαλέως· καὶ μήτε νικῶν ἀμφαδὴν ἀγάλλεο
μηδὲ νικηθεὶς ἐν οἴκωι καταπεσὼν ὀδύρεο.
ἀλλὰ χαρτοῖσίν τε χαῖρε καὶ κακοῖσιν ἀσχάλα
μὴ λίην· γίνωσκε δ᾽ οἷος ῥυσμὸς ἀνθρώπους ἔχει.»

«Cuore, o cuore, sballottato da insolubili dolori,

rialzati, resisti contro chi ti tratta male, opponi

il petto, piazzato accanto alle tane dei nemici

con tenaciaː e, se vinci, non ti rallegrare assai,

o, se perdi, non crollare, messoti a lutto in casa,

ma rallegrati per i beni e per i mali soffri

non troppoː ammetti come questo ritmo è della vita.»

Il frammento, in tetrametri trocaici catalettici, riprende la celebre apostrofe di Omero (Τέτλαθι δή, κραδίη· καὶ κύντερον ἄλλο ποτ' ἔτλης) con cui Ulisse/Odisseo si controlla davanti alle offese dei Proci, in attesa della vendetta. Tuttavia, nonostante il richiamo a Omero, Archiloco personalizza i versi per adattarli alle situazioni da lui vissute e alla sua concezione della miseria della vita, tra un'alternanza continua di gioie e dolori.

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