Platone lettera VII
Maturità 1987
Νέος ἐγώ ποτε ὢν πολλοῖς δὴ ταὐτὸν ἔπαθον· ᾠήθην, εἰ θᾶττον ἐμαυτοῦ γενοίμην κύριος, ἐπὶ τὰ κοινὰ τῆς πόλεως [c] εὐθὺς ἰέναι. καί μοι τύχαι τινὲς τῶν τῆς πόλεως πραγμάτων τοιαίδε παρέπεσον. ὑπὸ πολλῶν γὰρ τῆς τότε πολιτείας λοιδορουμένης μεταβολὴ γίγνεται, καὶ τῆς μεταβολῆς εἷς καὶ πεντήκοντά τινες ἄνδρες προύστησαν ἄρχοντες, ἕνδεκα μὲν ἐν ἄστει, δέκα δ' ἐν Πειραεῖ ‑ περί τε ἀγορὰν ἑκάτεροι τούτων ὅσα τ' ἐν τοῖς ἄστεσι διοικεῖν ἔδει ‑ τριάκοντα δὲ πάντων [d] ἄρχοντες κατέστησαν αὐτοκράτορες. τούτων δή τινες οἰκεῖοί τε ὄντες καὶ γνώριμοι ἐτύγχανον ἐμοί, καὶ δὴ καὶ παρεκάλουν εὐθὺς ὡς ἐπὶ προσήκοντα πράγματά με. καὶ ἐγὼ θαυμαστὸν οὐδὲν ἔπαθον ὑπὸ νεότητος· ᾠήθην γὰρ αὐτοὺς ἔκ τινος ἀδίκου βίου ἐπὶ δίκαιον τρόπον ἄγοντας διοικήσειν δὴ τὴν πόλιν, ὥστε αὐτοῖς σφόδρα προσεῖχον τὸν νοῦν, τί πράξοιεν. καὶ ὁρῶν δήπου τοὺς ἄνδρας ἐν χρόνῳ ὀλίγῳ χρυσὸν ἀποδείξαντας τὴν ἔμπροσθεν πολιτείαν ‑ τά τε ἄλλα καὶ φίλον [e] ἄνδρα ἐμοὶ πρεσβύτερον Σωκράτη, ὃν ἐγὼ σχεδὸν οὐκ ἂν αἰσχυνοίμην εἰπὼν δικαιότατον εἶναι τῶν τότε, ἐπί τινα τῶν πολιτῶν μεθ' ἑτέρων ἔπεμπον, βίᾳ ἄξοντα ὡς ἀποθανούμενον, [325] [a] ἵνα δὴ μετέχοι τῶν πραγμάτων αὐτοῖς, εἴτε βούλοιτο εἴτε μή· ὁ δ' οὐκ ἐπείθετο, πᾶν δὲ παρεκινδύνευσεν παθεῖν πρὶν ἀνοσίων αὐτοῖς ἔργων γενέσθαι κοινωνός ‑ ἃ δὴ πάντα καθορῶν καὶ εἴ τιν' ἄλλα τοιαῦτα οὐ σμικρά, ἐδυσχέρανά τε καὶ ἐμαυτὸν ἐπανήγαγον ἀπὸ τῶν τότε κακῶν.
Traduzione in italiano
Da giovane, pensavo, come tanti, di dedicarmi alla politica non appena fossi stato padrone di me stesso. La situazione in cui mi venni a trovare era questa: ci fu una rivoluzione, poiché molti erano malcontenti della costituzione, e il governo passò nelle mani di cinquantuno cittadini: undici in città e dieci nel Pireo, con l'incarico di occuparsi dell'agorà e dell'amministrazione civica spicciola, mentre gli altri trenta detenevano il potere assoluto. Alcuni di questi erano miei famigliari e conoscenti, che mi fecero subito capire, invitandomi anche esplicitamente ad intraprenderla, che la vita pubblica mi si confaceva. Non c'è da meravigliarsi di quel che provavo: ero giovane, ed ero anche convinto che avrebbero governato la città riportandola da uno stile di vita ingiusto a un modo giusto, e dunque osservavo con attenzione come si muovevano. Non tardai pertanto ad accorgermi che costoro facevano sembrare oro, in confronto, il governo precedente. Fra l'altro, capitò anche che mandarono Socrate (un mio amico, più vecchio di me, uomo che non mi periterei di proclamare il più giusto fra quelli del suo tempo), ad arrestare, insieme con altri, una persona da mettere a morte, così da renderlo complice, contro la sua volontà, delle loro azioni. Egli però non obbedì, e preferì correre il rischio estremo anziché partecipare ad azioni disoneste. Osservando questa ed altre cose simili, altrettanto gravi, mi ritrassi con ribrezzo da tutte quelle miserie.
Platone, dalla Lettera VII, trad. Piero Innocenti (BUR).
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