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Perché è importante continuare a studiare fino alla morte?

 Questo libro si sarebbe dovuto intitolare "Salutame a Socrate", poi, grazie a Dio, ho resistito alla tentazione della battuta facile e, dopo una breve discussione con l’editore, abbiamo deciso, di comune accordo, per un asciutto quanto significativo "Socrate".

Il fatto è che Socrate non è solo un filosofo vissuto duemila e quattrocento anni fa, ma è anche un modo

d’intendere la vita («socratico», per l’appunto). In lui non esistono le tensioni dell’uomo comune, tutto proteso alla ricerca del Potere, del Denaro e del Successo. In Socrate predomina la voglia di sapere, di mettere sempre in discussione quello che già conosce, di capire da che parte si nasconda il Bene.

La conoscenza, insomma, elevata a ragione di vita.

Si racconta che, poco prima di bere la cicuta, Socrate abbia ricevuto in carcere un maestro di musica per farsi impartire una lezione di cetra. In verità, Platone ne parla solo di sfuggita nell’Eutidemo, ma anche se l’aneddoto fosse stato inventato da lui, resterebbe comunque illuminante per capire il filosofo.

Alla domanda di un discepolo: «Perché imparare a suonare la cetra, se di qui a poche ore ti faranno bere la cicuta?» Socrate rispose: «Perché mi piace imparare».


Ora, se gli uomini scoprissero il piacere del conoscere fine a se stesso, tutto il nostro mondo muterebbe di colpo. 

Gli studenti, per esempio, non farebbero più una fatica della madonna a studiare. Mossi dall’amore per il sapere (in greco, filo-sofia), non subordinerebbero più il loro impegno al miraggio del titolo di studio e finirebbero per raggiungere risultati migliori e più duraturi. Sempre, però, che dietro la cattedra sieda un professore intelligente almeno quanto Socrate.


Tratto da: Socrate © 1993 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

Luciano de Crescenzo 

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