Seneca De Ira . Liber III . 8.
Demus operam ne accipiamus iniuriam, quia ferre nescimus. Cum placidissimo et facillimo et minime anxio morosoque vivendum est; sumuntur a conversantibus mores et ut quaedam in contactos corporis vitia transiliunt, ita animus mala sua proximis tradit: ebriosus convictores in amorem meri traxit, inpudicorum coetus fortem quoque et silice natum virum emolliit, avaritia in proximos virus suum transtulit.
. Eadem ex diverso ratio virtutum est, ut omne quod secum habent mitigent; nec tam valetudini profuit utilis regio et salubrius caelum quam animis parum firmis in turba meliore versari.
. Quae res quantum possit intelleges, si videris feras quoque convictu nostro mansuescere nullique etiam immani bestiae vim suam permanere, si hominis contubernium diu passa est: retunditur omnis asperitas paulatimque inter placida dediscitur. Accedit huc quod non tantum exemplo melior fit qui cum quietis hominibus vivit, sed quod causas irascendi non invenit nec vitium suum exercet. Fugere itaque debebit omnis quos inritaturos iracundiam sciet. 'Qui sunt' inquis 'isti?'
Multi ex variis causis idem facturi: offendet te superbus contemptu, dicax contumelia, petulans iniuria, lividus malignitate, pugnax contentione, ventosus et mendax vanitate; non feres a suspicioso timeri, a pertinace vinci, a delicato fastidiri.
Elige simplices faciles moderatos, qui iram tuam nec evocent et ferant; magis adhuc proderunt summissi et humani et dulces, non tamen usque in adulationem, nam iracundos nimia adsentatio offendit: erat certe amicus noster vir bonus sed irae paratioris, cui non magis tutum erat blandiri quam male dicere.
Caelium oratorem fuisse iracundissimum constat. Cum quo, ut aiunt, cenabat in cubiculo lectae patientiae cliens, sed difficile erat illi in copulam coniecto rixam eius cui cohaerebat effugere; optimum iudicavit quidquid dixisset sequi et secundas agere. Non tulit Caelius adsentientem et exclamavit, 'dic aliquid contra, ut duo simus!' Sed ille quoque, quod non irasceretur iratus, cito sine adversario desit.
Eligamus ergo vel hos potius, si conscii nobis iracundiae sumus, qui vultum nostrum ac sermonem sequantur: facient quidem nos delicatos et in malam consuetudinem inducent nihil contra voluntatem audiendi, sed proderit vitio suo intervallum et quietem dare. Difficiles quoque et indomiti natura blandientem ferent: nihil asperum tetricumque palpanti est.
Quotiens disputatio longior et pugnacior erit, in prima resistamus, antequam robur accipiat: alit se ipsa contentio et demissos altius tenet; facilius est se a certamine abstinere quam abducere.
Traduzione
Facciamo in modo di non subire ingiurie, visto che non sappiamo sopportarle. Bisogna convivere con persone estremamente calme e socievoli, affatto prive di ansia o pedanteria: il nostro carattere si adegua a quello delle persone con cui stiamo, e come certe malattie del corpo si trasmettono per contatto, così l'animo infetta i vicini dei suoi vizi. Il bevitore trascina i commensali verso l'amore per il vino, la compagnia dei libertini rammollisce anche l'uomo forte, l'avarizia inietta il suo veleno nei vicini. La virtù segue lo stesso cammino, ma in direzione opposta, e rende migliore tutto ciò che le sta vicino: una località salubre e un clima benefico non hanno mai giovato alla salute quanto ha giovato agli animi instabili il trovarsi in compagnia di persone migliori.
Ti renderai conto dell'efficacia di questa pratica osservando anche le belve, che si ammansiscono convivendo con noi e che nessun animale feroce mantiene la sua ferocia se ha coabitato a lungo con l'uomo: tutta l'asprezza si smussa gradualmente, viene disimparata in un ambiente tranquillo. A questo si aggiunge che non migliora soltanto per l'esempio chi vive con uomini pacifici, ma anche per il fatto che, non trovando motivi per adirarsi, non attiva il suo vizio. Bisogna evitare tutti coloro che si ritiene capaci di suscitare la propria ira. Chi sono costoro, mi chiedi? Sono tanti, per i motivi più diversi. Il superbo ti offenderà con il suo disprezzo, il mordace con la sua insolenza, lo sfacciato con la sua ingiuria, l'invidioso con la sua malevolenza, il litigioso con la sua provocazione, il chiacchierone e bugiardo con la sua vanità; non sopporterai che il sospettoso ti tema, l'ostinato ti vinca, lo schizzinoso ti detesti.
Scegliti amici semplici, socievoli, equilibrati, che non stuzzichino la tua ira e sappiano sopportarla; gioveranno ancor di più i caratteri bonari, comprensivi e dolci, ma non fino al punto di diventare adulatori, perché gli iracondi si offendono per l'eccesso di consensi. Quel nostro amico era certamente un uomo buono, ma un po' troppo suscettibile all'ira: blandirlo non era meno pericoloso che offenderlo.
È noto che Celio, l'oratore, era estremamente irascibile. Raccontano che un suo cliente, capace di infinita sopportazione, cenava con lui in una stanzetta e sapeva che per Celio era difficile, stando così a quattr'occhi, non attaccar briga con chi aveva accanto. Ritenne dunque ottima cosa assecondarlo in tutto. Celio non sopportò la sua arrendevolezza e gridò: «Contraddiscimi, se vuoi che siamo in due!». Eppure anche Celio, irritato di non potersi irritare, dovette calmarsi presto per mancanza di avversario.
Se sappiamo di essere iracondi, scegliamoci soprattutto compagni di questo genere, capaci di adattarsi al nostro volto e alle nostre parole. Ci renderanno ipersensibili e ci abitueranno male a non tollerare nulla di contrario alla nostra volontà, ma sarà utile dare respiro e riposo al nostro vizio. Anche gli indomabili per natura si ammorbidiscono con chi li lusinga: la carezza non incontra mai asprezze o timori.
Ogni volta che la disputa si fa troppo lunga o accesa, fermiamoci alle prime parole, prima che acquisti forza: la contesa si alimenta da sé e trascina in fondo chi vi si immerge; è più facile astenersi dalla lotta che uscirne.
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